Ambiente

A 10 anni dal suo scoppio, la Xylella affligge ancora la Puglia

Per quanti speravano in un’inversione di tendenza o un rallentamento dell’epidemia, i dati diffusi da Coldiretti rappresentano una doccia fredda. Specie per gli effetti prodotti dal batterio sui raccolti
Credit: Edward Burtynsky, Xylella Studies
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23 marzo 2023 Aggiornato alle 12:00

Dieci anni fa scoppiò l’epidemia di Xylella in Puglia, artefice di una profonda alterazione della morfologia del territorio regionale e di pesanti contraccolpi sul comparto olivicolo.

Anni di grida d’allarme - le prime avvisaglie del disseccamento degli ulivi risalgono al 2008 – a cui si sono affiancate, però, anche presunte smentite e contro-smentite, polemiche e rallentamenti indotti dall’avvento di teorie complottiste, determinanti per quella progressiva diffusione del morbo che ancora oggi affligge il territorio pugliese, e salentino in particolare.

Così la certificazione scientifica della presenza del batterio portato da un insetto denominato sputacchina si fa attendere: l’anno è il 2013. L’inizio di un cammino animato dal dibattito interno alla comunità pugliese, da allora – e negli anni a venire - divisa tra i fautori di politiche da subito orientate all’eradicazione degli ulivi infetti e chi, invece, ha abbracciato una linea attendista, in alcuni casi fatalista (si pensi alle processioni effettuate nei luoghi colpiti).

Nella terra di mezzo si colloca la politica. Il presidente di Regione, Michele Emiliano, sì unì inizialmente al coro di quanti chiedevano lo stop alle misure di contenimento del batterio sulla scorta di un’indagine aperta dalla magistratura, che coinvolse anche il commissario straordinario, Giuseppe Saletti, oggi ricordato tra quanti lottarono per fermare il morbo e poi dimessosi per via degli ostacoli frapposti al suo piano di eradicazione.

Per quanti speravano in un’inversione di tendenza o un rallentamento dell’epidemia di Xylella in Puglia a dieci anni dallo scoppio, i dati diffusi a fine anno da Coldiretti rappresentano un’improvvisa doccia fredda. Specie per gli effetti prodotti a catena sul raccolto.

Emblematici, in tal senso, i rilievi nel brindisino e leccese, tra le porzioni di territorio più colpite. Nella sola provincia di Brindisi, la presenza del batterio che infetta gli ulivi causandone il disseccamento fa registrare un meno 25% sulla raccolta annuale. Ancor più pesante il bilancio in Salento, dove sono state perse, nel solo 2022, 3 olive su 4, con un crollo del 70% della produzione d’olio di oliva. E con un andamento che, secondo le stime dell’associazione a tutela degli agricoltori, è divenuto incontrovertibile dal 2015 a oggi.

Delle tesi sulla genesi della diffusione del batterio killer in Puglia, al momento, la più suffragata dagli scienziati individua la causa nell’introduzione nel territorio salentino di una pianta di caffè infetta proveniente dal Costa Rica, già nel 2008. Ma il riconoscimento della propagazione del morbo nel territorio avvenne solo nel 2013, a epidemia ormai in corso. Da allora il suo incedere è stato impetuoso, causando, allo stato attuale, la positività di 21 milioni di piante in Puglia, per un’estensione stimata in 8.000 chilometri quadrati, pari al 40% della regione.

Ma i segnali che giungono dagli ultimi rilievi non sono confortanti, specie per la continua avanzata dell’epidemia.

A ridosso della fine dello scorso anno è stata confermata la positività di due ulivi nell’hinterland del barese, territorio sino allora non infestato dal batterio.

Nel corso degli ultimi anni diverse sono state le soluzioni adottate dai governanti regionali.

Tra le principali, l’adozione di un piano di contenimento dell’avanzata del batterio, che dispone l’eradicazione delle piante locate nel raggio di 50 metri dall’ulivo infetto. Misura sofferta ma ideata per prevenire la diffusione incontrastata dell’emergenza fitosanitaria, con cui, negli ultimi tempi, si è riusciti a contenere - non certo a debellare – l’estensione del morbo, che suscita ancora grande preoccupazione.

Per questo, sulla scorta anche di una maggiore pressione delle associazioni di settore, l’assise regionale – nell’ottica di una difficile inversione del trend – ha deliberato nelle scorse settimane il trasferimento agli enti pubblici locali di risorse predisposte dal Piano del Ministero delle Politiche agricole, drenando, in favore degli stessi enti, 7,6 milioni di euro per il biennio 2023-2024 (rispettivamente, 3.620.000,00 per il 2023 e 4.020.000,00 per il 2024), per attivare le pratiche fitosanitarie obbligatorie sulle superfici agricole e prevenire l’avanzata del batterio.

Ma non è questo l’unico terreno su cui ci si muove. È nella ricerca, infatti, che si ripongono le maggiori speranze per via dell’importanza che assume la prevenzione nel contrasto di una epidemia per cui, al momento, non si conoscono cure.

S’incanala in questa direzione il progetto di ricerca che vedrà impegnata l’Università Aldo Moro di Bari, coadiuvata dall’Università degli Studi di Brescia e dall’Istituto per la protezione sensibile delle piante che fa capo al Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), destinataria di 1 milione di euro su impulso del Ministero delle politiche agricole.

L’obiettivo è sviluppare protocolli in grado di rilevare il batterio in replicazione.

Altre strategie sono l’attivazione di una task force cinofila anti Xylella, lanciata a dicembre 2021, per prevenire l’importazione di piante infette. Altre, invece, imboccano la strada della sperimentazione di nuove soluzioni, sempre in chiave preventiva: così il progetto Redox, finanziato dal Ministero dello Sviluppo economico e coordinato dal Distretto tecnologico aerospaziale, che mira ad acquisire immagini telerilevate dagli aerei e processate con sensori termici, per cogliere la presenza di piante infette sul terreno prima della manifestazione dei sintomi.

La parola d’ordine, insomma, visti anche i rallentamenti nella fase iniziale, è prevenzione. Ma anche una centralizzazione dei lavori, che alcuni – la Cia agricoltori in primis – vorrebbero affidati a un commissario straordinario. Secondo Coldiretti, infatti, «oltre alle pratiche fitosanitarie obbligatorie, serve tempestività per estinguere immediatamente i focolai attivi con gli ulivi infetti che sono fonti di inculo della malattia, perché la diffusione della Xylella Fastidiosa potrebbe costare miliardi di euro nei prossimi 50 anni in Europa, se l’espansione della zona infetta non venisse arrestata».

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