Ambiente

Le bucce di frutta ridanno vita alle batterie

Utilizzare gli scarti di cibo per riciclare le batterie è una buona idea. Due progetti, della startup pugliese AraBat e della Nanyang Technological University di Singapore, lo dimostrano
Credit: Aleksandar Pasaric
Tempo di lettura 4 min lettura
12 aprile 2023 Aggiornato alle 16:00

Produciamo parecchi avanzi di cibo e parallelamente accumuliamo tante batterie al litio esaurite. Sarebbe bello trovare il modo di sfruttare lo spreco alimentare per riciclare le seconde, che inquinano. Ci sono già ben due progetti pilota - uno dall’Asia e uno dall’Italia - che stanno pensando a come riuscirci, partendo dalle bucce di arance, limoni, pompelmi e ananas.

D’altronde, attualmente, meno del 5% delle batterie viene riutilizzato e si teme che entro 7 anni possano essere 11 milioni le tonnellate di quelle non riciclate. Com’è noto, si tratta di rifiuti tossici. Intanto l’utilizzo di smartphone, computer e dispositivi vari continua ad aumentare in tutto il mondo, insieme alla richiesta di energia.

Per cominciare, un team di scienziati della Nanyang Technological University di Singapore lavora a una soluzione di questo tipo addirittura dal 2020. L’idea è recuperare più metalli possibili dalle batterie triturate, dopo averli separati dalle plastiche.

A quel punto entrano in gioco gli scarti formati dalla buccia di agrumi. Questi frutti, dotati di un’alta acidità naturale e di zuccheri, creano una miscela chimica - una sorta di solvente - adatta all’estrazione di litio, cobalto, nichel e altri metalli preziosi.

In quella maniera, in un impianto creato ad hoc localmente, ogni giorno avviene la triturazione di 18 tonnellate di batterie e vengono trattati fino a 2.000 litri di metalli usati per gli elettrodi.

La seconda iniziativa invece nasce dalle menti di cinque ricercatori pugliesi, attraverso la startup innovativa foggiana AraBat, attenta all’economia sostenibile e circolare. Il progetto ha per protagonista una specie di fornace in cui finiscono i metalli, le bucce della frutta, altri residui vegetali e l’acido citrico.

Lo scopo del processo chimico è recuperare terre rare e componenti utili, per rivenderle alle aziende farmaceutiche ed edili, alle imprese produttrici di ceramiche e vetri, fino agli stessi produttori di batterie.

La particolarità del procedimento, incentrato sulla de-umidificazione, ha dato vita al concetto di “idrometallurgia verde”. Per ora la sperimentazione è in corso in Canada, almeno fino al mese di giugno 2023, ma gli inventori sperano di portarla presto in Italia e in giro per il mondo.

Sono Raffaele Nacchiero, Leonardo Binetti, Giovanni Miccolis, Vincenzo Scarano e Leonardo Renna. Per la precisione, questi giovani studiosi del nostro Paese vorrebbero fornire in licenza la propria tecnologia per consentire anche ad altri Stati di creare i propri stabilimenti.

D’altra parte il riciclo delle batterie al litio è al centro di evidenti dinamiche industriali: Enel X e Midac hanno annunciato l’avvio di un percorso di ricerca congiunto per realizzare in Italia il primo impianto con una capacità di almeno 10.000 tonnellate l’anno. Da questo punto di vista l’Italia può dire la sua: grazie al recupero di nichel, cobalto e litio, la Penisola potrebbe ottenere ricavi fino a 600 milioni di euro.

Al contempo i possibili impieghi delle bucce della frutta sembrano sempre più numerosi,

dalle batterie elettriche alla moda sostenibile: qualsiasi fonte di cellulosa o proteine infatti può essere trasformata in fibra per i tessuti. L’azienda italiana Orange Fiber è riuscita a ricavare dagli scarti della produzione di succo di agrumi, e di arance in particolare, un leggero tessuto setoso che è stato recentemente utilizzato in una collezione in edizione limitata dello stilista Salvatore Ferragamo.

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