Futuro

Levi’s impiegherà modelli e modelle create dall’AI

L’obiettivo dell’azienda è favorire l’inclusività, ma le polemiche sono già alle stelle. Il rischio è che finisca per discriminare chi dice di voler tutelare
Credit: Levi Strauss
Tempo di lettura 6 min lettura
24 aprile 2023 Aggiornato alle 08:00

Levi’s sperimenterà l’impiego di modelle e modelli generati da intelligenza artificiale nei suoi store digitali. L’annuncio è stato dato dalla stessa azienda mercoledì 22 marzo sul palco del Business of Fashion Professional Summit on Technology di New York.

Il progetto vedrà la luce verso la fine del 2023 e sarà realizzato in partnership con l’agenzia di moda digitale Lalaland.ai.

Gli avatar creati dall’intelligenza artificiale non sostituiranno i modelli umani ma ne integreranno “il numero e la diversità”. L’intento primario dichiarato da Levi’s è infatti offrire un’esperienza di vendita più inclusiva, personalizzata e sostenibile.

La clientela potrà vedere gli abiti indossati da differenti tipologie di persone, quanto più possibile simili a sé, per età, taglia, corporatura e colore della pelle.

Ma allora perché non assumere persone reali che rispecchino questa diversità?

Dopo decenni in cui sulle passerelle hanno sfilato modelle e modelli bianchi, magrissimi e rispondenti a standard di bellezza inarrivabili per la maggioranza delle persone, da qualche anno l’industria della moda si sta mostrando più aperta a diversi canoni estetici e alle persone Bipoc. Sembra quindi paradossale che proprio ora, invece di dare lavoro e visibilità sociale a differenti categorie di modelli e modelle, si preferisca una diversità virtuale e non reale.

Per questo le critiche più dure rivolte a Levi’s sono arrivate da attivisti e utenti social che parlano di razzismo e finta inclusività.

Inoltre, i database da cui l’intelligenza artificiale attinge le immagini sulle quali poi lavora rispecchiano spesso i bias socialmente più diffusi, come stanno dimostrando diversi studi, tra cui quello di Wired Italia firmato da TBWA\Italia, che mostra come l’AI rappresenti più spesso persone bianche. Ma si può considerare vera inclusività la creazione di immagini di persone Bipoc partendo da fotografie di persone bianche? O è equiparabile alla pratica del blackface?

È possibile poi che a programmare queste immagini lavorino persone che non si identificano con le caratteristiche di cui dotano i modelli virtuali che sviluppano. Esiste quindi il rischio, per esempio, che una modella nera generata da intelligenza artificiale non sia la rappresentazione di una vera donna nera ma solo l’immagine che un uomo bianco ha delle donne nere. In questo senso, la possibilità di replicare stereotipi negativi o discriminanti è molto alta.

Levi’s ha risposto alle polemiche con un comunicato stampa in cui sottolinea che non smetterà di ingaggiare modelli e modelle umani e che questa non è e non sarà l’unica iniziativa intrapresa dall’azienda per favorire equità e inclusività. Anche il fondatore di Lalaland.ai, Michael Musandu, è intervenuto sulla questione, spiegando al Guardian che «non è fattibile per le case di moda fotografare nove modelli per ogni singolo prodotto che vendono, perché dovrebbero ingaggiare non solo loro ma anche fotografi, parrucchieri, truccatori». Con persone generate da intelligenza artificiale, insomma, le aziende avrebbero un risparmio economico considerevole.

Levi’s però non è l’unica ad affacciarsi a questa nuova era. Anche Prada, Calvin Klein, Tommy Hilfiger e Givenchy impiegano modelli generati da AI. Walmart, poi, dal 2022 offre l’esperienza Be Your Own Model tramite la propria app. Caricando una foto di sé a figura intera, il software appone l’immagine del vestito scelto, come in un camerino virtuale, restituendo anche pieghe e ombre sul corpo. Sempre in AR shopping (shopping in realtà aumentata), si colloca una partnership tra Snapchat e Amazon Fashion che permette agli utenti di provare virtualmente occhiali di diverse marche caricando una foto del proprio viso.

Ci sono poi i casi di Shadu Gram, la prima supermodella digitale, e Miquela Sousa, influencer da oltre 2 milioni di follower su Instagram, dove è definita “una robot di 19 anni che vive a Los Angeles”. Anche se in questo caso non si tratta di AI ma di Cgi, immagini generate al computer.

Proprio Miquela è stata più volte al centro di polemiche: innanzitutto i suoi 19 anni li avrà per sempre, un enorme vantaggio in un mondo fortemente pervaso di ageismo come quello della moda.

Nel 2019 Calvin Klein si era scusato pubblicamente dopo essere stato accusato di queerbaiting per una pubblicità in cui Miquela baciava la modella Bella Hadid. Pochi mesi dopo Miquela aveva raccontato sui social di essere stata aggredita mentre usava un servizio di car sharing, e i suoi creatori furono per questo accusati di aver inventato un abuso sessuale e un finto trauma per arricchirsi.

Ed è questo un nodo cruciale, l’autenticità, come scrive su Vogue Sinead Bovell, modella e fondatrice della startup Waye, con cui fa ricerca e sensibilizzazione riguardo alle nuove tecnologie e al loro impatto sul lavoro del futuro. «Miquela e Shadu non possono fare nulla di loro spontanea volontà. Non possono pensare o imparare o offrire pose diverse in modo indipendente. - Inoltre - noi modelle umane abbiamo lavorato sodo affinché le nostre storie venissero ascoltate e le nostre esperienze autentiche venissero considerate, abbiamo lottato per cambiare l’idea che fossimo solo una taglia o un manichino per vestiti. […] In alcuni casi il nostro attivismo ci è costato il posto di lavoro».

Se da una parte, quindi, sembra scorretto che i brand di moda si avvantaggino tramite l’intelligenza artificiale di diritti conquistati a fatica da modelli e modelle umane, dall’altra solo questi ultimi possono offrire storie, personalità e capacità di crescita indispensabili per un rapporto più diretto ed emozionale con utenti e clienti, ancora considerato indispensabile nel marketing.

Magari i progressi tecnologici modificheranno anche questo aspetto in futuro. Di certo, in ogni caso, c’è che il progresso non si ferma, quindi è inutilmente allarmistico accusare ora l’intelligenza artificiale di stare rubando il lavoro a ragazzi e ragazze ma è altrettanto poco saggio ignorare il cambiamento. Meglio iniziare ad adattarsi e farsi trovare pronti quando servirà.

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