Diritti

Assistenza familiari con disabilità: nuova pronuncia della Cassazione

Un dipendente è stato licenziato per uso improprio di un permesso lavorativo, essendosi allontanato dal domicilio del congiunto durante il giorno. Ma la richiesta era stata fatta per un turno notturno
Credit: cottonbro studio
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9 aprile 2023 Aggiornato alle 06:30

Il permesso per assistere un familiare con disabilità, di cui all’art. 33 delle Legge n. 104 del 1992, ha finito per essere spesso oggetto di pronunce della giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità, sotto il profilo delle modalità attraverso le quali il lavoratore può legittimamente usufruirne. Pertanto, con la sentenza n. 2235 del 25 gennaio 2023 la Corte di Cassazione è andata ad aggiungere un ulteriore tassello a un filone giurisprudenziale piuttosto nutrito.

Nello specifico, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi riguardo il licenziamento di un lavoratore che, stando alla ricostruzione del proprio datore, avrebbe fatto un uso improprio del permesso ex Legge 104/1992 per essersi allontanato dal domicilio del familiare con disabilità durante diverse ore della giornata, circostanza ammessa dallo stesso lavoratore, il quale tuttavia aveva replicato alla contestazione del proprio datore facendo notare di essersi allontanato durante le ore diurne a fronte del turno di lavoro (rispetto al quale aveva chiesto il permesso) da svolgersi nelle ore notturne (per la precisione dalle 22:00 di sera del giorno prima alle 6:00 di mattina del giorno seguente).

La pronuncia in questione, disattendendo le sentenze di merito di primo e di secondo grado, ha ritenuto fondate le ragioni del lavoratore in quanto i permessi ex Legge 104/1992 giustificano l’assenza dal lavoro in relazione causale diretta con la necessità di svolgere funzioni assistenziali, pertanto non può essere contestato l’allontanamento dal domicilio del familiare con disabilità durante le ore diurne del giorno se il permesso è stato richiesto per coprire il turno notturno di assistenza.

Vengono comunque ribaditi dalla Suprema Corte i principi di diritto secondo cui, da un lato, nel valutare la condotta del lavoratore, occorre tenere conto delle modalità e delle tempistiche con le quali la prestazione assistenziale viene in concreto resa a favore del familiare; dall’altro, il comportamento del dipendente che si avvale del beneficio in questione (per attendere a esigenze diverse) integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, ed ha rilievo anche ai fini disciplinari, trattandosi di condotta che priva ingiustamente il datore della prestazione lavorativa, in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente.

Per completezza, vale la pena ricordare che (a livello di giurisprudenza tanto di legittimità quanto di merito) è stato da tempo chiarito come il concetto di assistenza non debba essere inteso alla stregua di una vicinanza continuativa e ininterrotta alla persona con disabilità, essendo evidente che la cura di un congiunto, che non è in grado di provvedere alle esigenze fondamentali di vita, spesso richiede interventi diversificati, non implicanti la vicinanza allo stesso.

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