Ambiente

Perché i bacini imbriferi montani sono così importanti?

I Bim contribuiscono per il 90% alla produzione di energia idroelettrica. In Italia ne esistono 113 e, per la prima volta, sono stati tutti mappati da FederBim
Credit: Gabor Koszegi
Tempo di lettura 3 min lettura
22 marzo 2023 Aggiornato alle 19:00

Una risorsa preziosa ma quasi sconosciuta, sia per il pubblico che per imprenditori e politici. Sono i bacini imbriferi montani, detti anche Bim. Si tratta di zone che delimitano i corpi idrici, come fiumi o laghi, che sono interessati da opere e impianti per la produzione di energia. In Italia sono 113 e, per la prima volta, FederBim (Federazione Nazionale dei Consorzi di Bacino Imbrifero Montano), in collaborazione con Cresme (Centro ricerche economiche, sociologiche, di mercato e di sistemi informativi), li ha mappati tutti.

Le questioni legate al loro funzionamento sono state raccolte nel rapporto I Bim al tempo della crisi idrica e energetica: l’associazione creerà una piattaforma online per il monitoraggio costante dei bacini.

I Bim sono al centro dell’attenzione, a causa della durissima siccità che sta colpendo gran parte del territorio italiano e che ha significato un calo di quasi 17 Twh (terawatt) nella produzione di energia idroelettrica nel 2022 (-37,7% rispetto al 2021).

Il ruolo dei bacini in questo scenario è fondamentale: il 74% degli impianti energetici è infatti legato a loro. Contribuiscono al 90% della produzione italiana, con dei picchi in Lombardia e Trentino Alto Adige, secondo il report.

Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno, le centrali che sfruttano l’acqua per generare elettricità coprono il 16% della produzione energetica totale del Paese. Nel 2021, il settore è cresciuto più di tutti gli altri, segnando un +4%.

Dalle risorse di acqua del sistema montagna potrebbe trarre beneficio circa il 47,5% del territorio italiano, afferma il rapporto, vale a dire 3.235 comuni e circa 13 milioni di persone (il 22,1% della popolazione). La legge (prima con la norma 959/1953 e poi con la 228/2012) ha riconosciuto infatti un sovracanone a favore dei territori, a carico dei concessionari che utilizzano gli impianti idroelettrici. Questa misura dovrebbe ristorare gli abitanti delle aree dei bacini per il depauperamento idrico.

Queste tariffe, però, cambiano di territorio in territorio e non sempre sono facili da tracciare, ha spiegato Tommaso Dal Bosco, direttore di FederBim, durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto.

Oggi in Italia ci sono solo 68 consorzi, concentrati a Nord, con l’eccezione dei 5 che esistono in Sardegna, e vi aderiscono poco più di 1.600 comuni. Quindi, Federbim riesce a monitorare il sovracanone in 2.270 sui 3.750 che ne avrebbero diritto. Almeno 1.400, secondo il rapporto, non vengono invece monitorati, perché non consorziati.

Dall’analisi emerge un problema di conoscenza e consapevolezza dei bacini imbriferi montani e delle loro risorse, che porta, di conseguenza, a mancanze nella loro gestione economica. I 150 milioni derivanti ogni anno dal sovracanone spesso non vengono investiti in interventi utili dagli enti territoriali, ma vengono dispersi in progetti dal piccolo impatto.

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