Ambiente

Anche l’acqua è un’arma

In un mondo dove aumenta la scarsità dell’oro blu e insieme cresce la domanda da parte di industria e agricoltura, le tensioni per il controllo di bacini, falde, infrastrutture idriche si fanno sempre più frequenti. Serve una diplomazia “blu” globale, come suggerito al World Water Forum di Dakar
Il Presidente senegalese Macky Sall alla cerimonia inaugurale del 9° World Water Forum di Dakar, il 21 marzo.
Il Presidente senegalese Macky Sall alla cerimonia inaugurale del 9° World Water Forum di Dakar, il 21 marzo.
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1 aprile 2022 Aggiornato alle 08:00

Quale peso diamo all’acqua? Quale ruolo ha questa risorsa preziosa nelle tensioni geopolitiche che attraversano il Pianeta? Basta guardare in Ucraina per capire come questa risorsa rimanga un elemento critico nei conflitti, un’ulteriore vittima della guerra. Nell’assedio di Mariupol, infatti, la scarsità d’acqua è stata usata come arma dall’esercito russo.

“Ieri abbiamo raccolto neve e pioggia per riuscire ad avere un po’ di acqua. Abbiamo cercato di prenderla nei punti di distribuzione, ma la coda era enorme. (…) In un condominio alcune persone la recuperavano dall’impianto di riscaldamento per lavarsi le mani o per altri bisogni basilari”.

Sono le parole raccolte dall’associazione Medici Senza Frontiere operativa nella cittadina devastata dall’armata russa. Non è un caso isolato. È successo anche in altre città, come Kharkiv. Numerose infrastrutture idriche sono state devastate dall’artiglieria di Putin, mentre le inondazioni causate dalla resistenza ucraina sono state impiegate per fermare l’avanzata delle truppe. L’uso dell’acqua come arma non è una novità in questo conflitto. Gli ucraini avevano ridotto l’apporto idrico verso la Crimea già nel 2014 tramite la diga di Kherson, distrutta dai russi nei primi giorni di scontri.

L’acqua come arma, l’acqua come bersaglio o come elemento di ricatto. In un mondo dove aumenta la scarsità dell’oro blu e insieme cresce la domanda da parte di industria e agricoltura, le tensioni per il controllo di bacini, falde, infrastrutture idriche si fanno sempre più frequenti. Dal Mekong al Nilo (dove Etiopia, Sudan ed Egitto si scontrano da anni senza soluzione), dalla Palestina (dove l’acqua rimane uno dei 5 elementi negoziali di un processo di pace in stallo completo) all’Iraq, i casi di “water wars” di guerre per o con l’acqua, sono numerosi. Si rende dunque urgente un ripensamento geopolitico di come affrontare situazioni di crisi, che siano sollecitate da scontri politici o dagli effetti perniciosi del cambiamento climatico.

Di diplomazia blu si è discusso durante il nono World Water Forum, a Dakar. L’evento, organizzato dal mondo privato - dietro si cela il World Water Council, un think tank internazionale nato in Francia nel 1996 - insieme alla cooperazione internazionale e con la presenza delle Nazioni Unite, ha visto un rinnovato interesse sul tema della gestione dei bacini transfrontalieri.

«Questo 9° World Water Forum ci offre l’opportunità di dare l’allarme sulla gravità della situazione della sicurezza idrica, affinché le questioni legate all’acqua rimangano al centro della comunità internazionale», ha dichiarato durante l’apertura dei lavori il presidente senegalese Macky Sall. «Parliamo della vita e della salute di miliardi di persone. Ma anche della preservazione della pace e della sicurezza globale».

Sostegno finanziario, condivisione delle informazioni, rafforzamento degli strumenti internazionali e tutela del diritto all’acqua, soprattutto in seno alle Nazioni Unite, sono alcuni dei temi ripresi nelle conclusioni del World Water Forum, che ha lanciato un impegno globale per un blue deal per dare priorità alla questione idrica, esacerbata dalle trasformazioni del clima.

Alcuni esempi di buona gestione cooperativa dei corpi idrici arrivano proprio dal Senegal, Paese che che ha saputo gestire per decenni, in maniera pacifica, assieme a Mali, Mauritania e Guinea il fiume Senegal, che scorre per oltre mille chilometri attraverso l’arido West Africa. Un fiume importante, che porta acqua a milioni di contadini che vivono lungo le sue sponde e che marca i confini geografici dei paesi rivieraschi. «Quello del fiume Senegal è un esempio di successo di diplomazia dell’acqua», spiega il direttore AICS Dakar Marco Falcone, incontrato a Dakar. Ricerca scientifica, condivisione dei dati, innovazione dell’agricoltura per ridurre il prelievo idrico, tavoli di lavoro, un’autorità dedicata (Organisation for the Development of the Senegal River) sono gli ingredienti di questa storia di successo.

Nutrita la presenza italiana al forum, nonostante la sconfitta alla corsa per ospitare il World Water Forum a Firenze e Assisi nel 2024 (si spera ci riprovi nel 2026). «L’Italia è qui perché pensiamo che il tema dell’acqua possa essere una delle priorità della Cooperazione italiana del prossimo futuro», racconta Emilio Ciarlo, responsabile relazioni istituzionali dell’Aics. «L’acqua è da sempre un elemento importante per lo sviluppo, che tocca tutti i Goals dell’Agenda 2030. Noi abbiamo progetti per circa 300 milioni di euro in tutto il mondo e in tutti i settori che riguardano l’acqua, ma serve rafforzare il Sistema Italia e della Cooperazione italiana in tale contesto, un tema sempre più interessante e sempre più delicato geopoliticamente».

Serve dunque rinnovare il ruolo della diplomazia sul tema acqua (ma anche clima e biodiversità). È immorale e contro i principali diritti umani controllare o usare l’acqua per scopi militari o geopolitici, così come lo è il controllo per scopi economici o finanziari che escludano comunità, provincie, regioni. Distruggere infrastrutture idriche da parte di un Paese invasore è un crimine di guerra, così come il watergrabbing, l’accaparramento delle risorse idriche da parte delle grandi aziende che spingono per una crescente privatizzazione delle risorse, deve essere considerato un’azione criminale.

Qui a Dakar si è deciso di dare spazio agli investimenti partecipati pubblico-privati. Se da un lato per le infrastrutture può essere un’opportunità, l’erogazione del servizio deve rimanere completamente pubblica per garantire un equo accesso e evitare le storture che tante storie di privatizzazione hanno comportato (la più grave quella di Jakarta, dove il conflitto tra privatizzazione e cittadini ha contribuito ad accelerare la subsidenza della città). Quelli che mancano sono i diritti e l’implementazione dei trattati internazionali, a partire da un diritto fondato sui principi ambientali e di equità intergenerazionale. Solo così potremo consegnare un Pianeta dove l’acqua è accessibile per tutti e non un bene finanziario o una risorsa controllata di chi detiene il potere militare.

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