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Pubblicità online: gli Usa fanno causa a Google

Per il dipartimento di Giustizia statunitense, il colosso di Mountain View avrebbe utilizzato “mezzi anticoncorrenziali e illegali” per eliminare possibili minacce al suo dominio nel mercato degli annunci digitali
Credit: Gnider Tam/unsplash
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
26 gennaio 2023 Aggiornato alle 09:00

Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha accusato Google di aver abusato della sua posizione dominate nel settore della pubblicità online, dichiarando che la società «ha utilizzato mezzi anticoncorrenziali, esclusivi e illegali per eliminare o ridurre drasticamente qualsiasi minaccia al suo dominio sulle tecnologie pubblicitarie digitali».

Alla causa, la seconda intentata dall’antitrust del Governo statunitense contro il colosso di Mountain View, hanno aderito anche 8 Stati tra cui New York, Connecticut, Virginia e California, dove ha sede Google. Rob Bonta, Procuratore Generale dello Stato, ha dichiarato che le pratiche di Google hanno «soffocato la creatività in uno spazio in cui l’innovazione è cruciale».

In un articolo pubblicato sul proprio blog, la controllata di Alphabet ha risposto che l’azione legale, sulla scorta di una “causa infondata” intentata dal procuratore generale del Texas, replica “un’argomentazione errata che rallenterebbe l’innovazione, aumenterebbe le tariffe pubblicitarie e renderebbe più difficile la crescita di migliaia di piccole imprese ed editori”.

Oggi circa l’80% delle entrate di Google derivano dalle inserzioni pubblicitarie. Il 12% di queste proviene dall’attività di intermediazione tra inserzionisti ed editori svolta dalla società attraverso la suite di strumenti Google a Manager, che ora il dipartimento di Giustizia vorrebbe venisse venduta.

Tanto gli inserzionisti quanto gli editori si sono lamentati del fatto che Google non è stato abbastanza trasparente riguardo la modalità con cui vengono suddivise le entrate pubblicitarie tra gli stessi editori e la società.

A luglio dell’anno scorso Google aveva tentato di risolvere il problema offrendosi di scorporare una parte della divisione responsabile della pubblicità online ma facendola rientrare sotto l’egida di Alphabet, la società madre di Google. Un escamotage che però non ha convinto il Dipartimento di giustizia.

Il comportamento anticoncorrenziale di Google – si legge nel testo della causa – ha innalzato le barriere all’ingresso a livelli artificialmente elevati, ha costretto i principali concorrenti a abbandonare il mercato degli strumenti di tecnologia pubblicitaria, ha dissuaso i potenziali concorrenti dall’entrare nel mercato e ha lasciato i pochi concorrenti rimasti di Google emarginati e ingiustamente svantaggiati”.

Il 20 gennaio, Google ha annunciato il taglio di 12.000 dipendenti, pari al 6% della sua forza lavoro. Alla base della decisione, secondo quanto dichiarato da Sundar Pichai, Ceo di Alphabet, la necessità di «affinare i nostri obiettivi, rivedere la base dei costi e dirottare i nostri talenti e i nostri capitali verso le principali priorità», in primo luogo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

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