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La corsa di Elvira lontano da se stessa

Il romanzo Elvira di Flavia Amabile racconta la storia di Elvira Notari, prima regista cinematografica italiana ma soprattutto donna tormentata che passa l’esistenza a correre, spinta da una perenne fame di avere di più
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22 gennaio 2023 Aggiornato alle 17:00

“Corre fino alla fine di via Foria. Corre come una donna di ventisette anni non dovrebbe fare in strada. Corre e il cappello si sposta lasciando di nuovo libera la chioma. Corre e riempie di polvere il vestito. Corre e si sente viva come mai prima di allora”.

La protagonista del romanzo Elvira di Flavia Amabile ha sicuramente come caratteristica principale quella di essere alla rincorsa: di un futuro nuovo e di un’esistenza lontana da quella che il destino di donna nell’Italia del sud di inizio novecento aveva per lei.

Il libro racconta la vera storia di Elvira Notari, prima regista cinematografica italiana e una delle prime della storia del cinema mondiale. Considerata una precorritrice del neorealismo, oltre che regista e produttrice è stata anche un’autrice straordinariamente prolifica e, tra il 1906 e il 1929, con la sua Dora Film ha dato vita a oltre 60 lungometraggi e centinaia tra cortometraggi e documentari.

La sua è una vita che corre a un ritmo diverso da quello tempo nel quale è immersa. Come quel cinematografo che immortala attimi altrimenti perduti e li consegna all’eternità, che cattura le storie di Napoli e dei suoi – e soprattutto delle sue – abitanti e le rende visibili, forse per la prima volta.

Quelle “vite piene, tormentate, contrastate, ribelli, perdenti. Libere”. Storie di donne che non hanno avuto scelta e che giorno dopo giorno continuano ad avere al loro fianco mariti violenti. Storie che nessuno, prima di Elvira, aveva raccontato e che lei scrive, dirige, ferma su pellicola.

Nelle pagine del libro però, la protagonista non è solo una pioniera del cinema, del marketing e dell’insegnamento della recitazione ma anche, e per certi aspetti soprattutto, una donna che si confronta con cosa questo significhi, mentre si trasforma e cambia ruolo, e con se stessa.

Una figlia, prima, “così particolare con la testa sempre in un libro o persa chissà dove”. Una moglie, poi, che vuole la sua vita con il marito Nicola “bizzarra, folle, diversa da tutte le altre”, e che la avrà. Una professionista, che lotta per affermarsi in un campo per soli uomini in un mondo per soli uomini. Una madre che non sa calmare i propri figli in autobus tra gli sguardi giudicanti delle altre donne. Una madre egoista, che per amore – della figlia, di se stessa, del futuro che vuole per sé e che vorrebbe consegnare ai suoi figli, di un’idea, forse – compie il sacrificio estremo, affidando la terzogenita Maria a un istituto religioso.

Ma Maria è un’ombra che cammina ogni istante non solo accanto a lei, ma anche alla sua famiglia, incrinandone talvolta irrimediabilmente i rapporti.

Il momento di riaccoglierla sembra non arrivare mai perché Elvira è spinta sempre oltre: un nuovo progetto, nuovi lavori, crescere, stabilizzare, diffondere. E il cinema, quel cinema che è passione e ossessione, essenza della sua vita e del suo rapporto col marito e la famiglia, che plasma la sua esistenza in ogni dettaglio e che spinge sempre avanti.

Elvira corre e quello che raggiunge non le basta mai.

Dietro di lei Napoli con le sue vite, l’anima e la storia. E l’Italia, che cambia: la guerra, l’emigrazione, la dittatura, la censura, Mussolini. La storia di Elvira e quella del Paese si intrecciano indissolubilmente, fino all’estremo. Perché si può correre, ma non scappare, soprattutto da noi stessi e dalla necessità di esserci fedeli.

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