Economia

Ex Ilva: un rebus tra debiti, nazionalizzazione e benzene

I finanziamenti previsti di 680 milioni, dopo il decreto del Governo che ha fatto parlare di salvataggio e prestito-ponte, basterebbero solo per saldare i fornitori. I sindacati invocano il controllo statale
Credit: Ant Rozetsky/ Unsplash  
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18 gennaio 2023 Aggiornato alle 08:00

Ambiente, salute e ora debiti.

L’ex Ilva di Taranto, oggi Acciaierie d’Italia, sembra non trovare né pace né liquidità né stabilità nella produzione.

La Repubblica utilizza direttamente il termine “nazionalizzazione” per dire che la società pubblica Invitalia prenderà il controllo del 60% del gruppo solo nel 2024, come si era ipotizzato inizialmente, con scadenza fissata al mese di maggio. Se ultimamente sembrava prevalere l’urgenza di questo passaggio, adesso si registra una fase di rallentamento.

Il quotidiano mette poi sotto la lente d’ingrandimento i bilanci del socio privato ArcelorMittal: grazie all‘aumento del costo delle materie prime e quindi dell’acciaio, le vendite dei primi 6 mesi del 2022 per circa 2,4 miliardi di dollari risultano superiori a quelle del 2015 e 2016, annate considerate per intero, e vicine a quelle del 2017.

Intanto il contesto d’incertezza attorno all’ex Ilva coinvolge altri aspetti, a partire dalla tecnologia del preridotto in ferro, il cosiddetto Dri, già individuato come alternativa agli altiforni. Poi c’è l’attesa per l’attuazione del piano di riconversione di Taranto e dunque per il dissequestro degli impianti. Resta ancora una fitta nebbia di dubbi. E inquinamento.

I media infatti hanno dato spazio a una nota di Arpa Puglia, che chiede di ridurre le emissioni di benzene, una sostanza considerata cancerogena, perché tra gennaio e novembre hanno superato le medie dei 3 anni precedenti. Nel dettaglio, nei primi 11 mesi dell’anno scorso la stazione del quartiere Tamburi vicina allo stabilimento ha rilevato un valore medio del composto di 3,3 microgrammi per metro cubo, purtroppo in costante aumento. I dati dell’agenzia ambientale regionale sono stati denunciati pubblicamente anche da Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra.

In questo quadro, i sindacati con la Fiom in testa tornano nuovamente a chiedere l’intervento diretto dello Stato per l’ex Ilva, perché temono che le condizioni attuali non permettano allo stabilimento di sopravvivere fino all’anno prossimo, senza dimenticare le migliaia di persone in cassa integrazione. Di loro non si parla mai abbastanza.

Così Cgil, Uilm e Usb, dopo aver chiesto apertamente un cambio di governance nel gruppo siderurgico, si preparano inoltre allo sciopero di 24 ore e alla manifestazione a Roma, già previsti nei giorni scorsi e rinviati a giovedì 19 gennaio, in concomitanza con il tavolo convocato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.

Recentemente le tre sigle sindacali hanno indetto un referendum a cui hanno partecipato circa 6.500 lavoratori, inclusi gli operai di altri stabilimenti: il 98% di questi ha detto sì alla nazionalizzazione degli impianti e alla ricapitalizzazione. Da tempo, oltre a questi punti, i rappresentanti sindacali reclamano un piano industriale di transizione ecologica e sociale.

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