Ambiente

Ex Ilva e l’ipotesi di un acciaio di Stato verde

Il decreto del Consiglio dei ministri, i 750 milioni di euro di fondi e l’idea di puntare sul Dri, il preridotto in ferro, come alternativa agli altiforni. Il piano di riconversione di Taranto sarà attuato?
Credit: Alain Pham/ Unsplash  
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4 gennaio 2023 Aggiornato alle 07:00

Per l’ex Ilva di Taranto, oggi Acciaierie d’Italia, si delinea una rivoluzione verde tramite la parola chiave “Dri” e, con il decreto del Cdm, prende corpo l’atteso finanziamento: 680 milioni da governo e Invitalia, più altri 70 milioni dal socio ArcelorMittal, nel rispetto degli accordi. I fondi daranno nuova linfa contro i rincari di energia e materie prime, dopo i debiti maturati nei confronti di fornitori come Eni e Snam.

Poi c’è il piano ambientale, che si vuole concludere in sei mesi, per ottenere il dissequestro degli impianti. Il 2023, per la più grande acciaieria d’Europa, potrebbe rivelarsi quindi l’anno in cui recupererà la produttività ordinaria, tornerà ad agire normalmente sui mercati e potrà assicurarsi investimenti. Senza dimenticare che ci sono migliaia di lavoratori in cassa integrazione.

In questo quadro a fare chiarezza oggi è un’intervista al Corriere della Sera di Franco Bernabè. Il presidente del consiglio di amministrazione di Acciaierie d’Italia, già a di Eni e Telecom, spiega così le novità della norma dell’esecutivo che riguarda l’ex Ilva: la misura prevede la possibilità di finanziamenti e aumenti di capitale prima del dissequestro, mettendo le basi perché la società pubblica Invitalia possa prendere il controllo della maggioranza e salire al 60%. Questo passaggio inizialmente era fissato entro il mese di maggio del 2024 ma i tempi potrebbero stringersi.

Il provvedimento del governo, che da alcuni commentatori è stato soprannominato nuovo decreto Salva Ilva, porta con sé un altro nodo, quello delle tutele penali: secondo Bernabè, il testo ribadisce solo il concetto per cui la responsabilità penale è personale e dunque non può derivare da reati commessi da altre persone.

L’intervista del presidente al Corriere esamina inoltre la riconversione di Taranto, un progetto incentrato su energie rinnovabili, idrogeno e tecnologie green in genere. Per questo obiettivo sono a disposizione il miliardo di euro previsto dal governo Draghi con il decreto legge “Aiuti Bis”, 750 milioni di fondi da parte degli azionisti e un altro miliardo attraverso il Pnrr, per un totale di 2,750 miliardi. In sostanza il piano, definito epocale, è già in corso ma richiederà 5 miliardi e 10 anni di tempo.

Invitalia dovrà gestire la somma stabilita dal Pnrr per dare seguito alla società che si occupa del Dri, il preridotto in ferro. Un documento vagliato qualche tempo fa dal Senato analizza questa soluzione tecnica alternativa agli altoforni nell’ottica di un rilancio del metallurgico del nostro Paese: l’ingegnere Carlo Mapelli, del Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, spiega che «il preridotto (Dri/Hbi) è un materiale semilavorato siderurgico contenente soprattutto ferro metallico, ottenuto da pellets di minerale ferroso trattate per mezzo di monossido di carbonio (CO) e idrogeno (H2)».

Il presidente del consiglio di amministrazione di Acciaierie d’Italia è fiducioso e convinto che alla fine azienda, autorità e sindacati andranno tutti nella stessa direzione, convergendo sui temi dello sviluppo, del lavoro e della salute, proprio com’è successo quando Bernabé in persona ha guidato l’evoluzione del settore chimico italiano nel ruolo di amministratore delegato dell’Eni. L’impresa a Taranto è possibile. Ma il prossimo passo è l’incontro del 19 gennaio annunciato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.

Intanto, contro il decreto del Consiglio dei ministri, i sindacati hanno annunciato sia uno sciopero di ben 32 ore a partire dalle ore 23 di martedì 10 gennaio sia una mobilitazione a Roma il giorno dopo.

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