Culture

Lavoro, odi et amo: 3 consigli di lettura

Spesso, il nostro successo non dipende solo da noi. Quand’è che dobbiamo venire a compromessi? 4 autrici - Jaffe, Montera, Canfailla e Di Virgilio - provano a farci capire che no, non siamo il nostro lavoro
Credit: Ruth Ward

Precario, desiderato, tossico, amato, ricercato, abbandonato, forzato. Il lavoro può essere in molti modi, ma ha una costante: è al centro della nostra quotidianità e, molto spesso (troppo spesso?), dei nostri pensieri.

Non siamo il nostro lavoro, (ci) ripetiamo, eppure, la società ci porta spesso a identificarci con la nostra attività professionale. Questo fa sì che la mancanza di successo sia vista, e vissuta, come un fallimento personale. Come una colpa.

Tra i molti effetti della pandemia, però, c’è anche una nuova consapevolezza e una rinnovata volontà di non cedere a sfruttamento, frustrazione e insoddisfazione che spesso il lavoro porta con sé.

Siamo nell’era della great resignation, in cui un numero sempre maggiore di giovani lavoratori danno le dimissioni in massa, mentre molti tra quelli che rimangono dicono basta alla hustle culture e, in silenzio, rivoluzionano l’approccio alla vita professionale, limitandosi a svolgere i propri compiti senza fare del lavoro il centro della propria esistenza per prestare più attenzione al proprio benessere psicofisico.

Oggi ti proponiamo 3 libri che, da prospettive diverse, fotografano il mondo del lavoro oggi e, soprattutto, i lavoratori che ogni giorno vi si muovono attraverso.

Il lavoro non ti ama. O di come la devozione per il nostro lavoro ci rende esausti, sfruttati e soli, Sarah Jaffe, Minimum fax, 11,99€, 545 pp.

Beati coloro che amano il proprio lavoro, perché non lavorano nemmeno un giorno in vita loro. È così che si dice, no? Non proprio, almeno secondo il ricchissimo saggio di Sarah Jaffe che – attraverso le storie di lavoratori e lavoratrici in diverse parti del mondo, intrecciate con i capisaldi del pensiero economico e un’analisi accurata della storia recente – ci dice che le cose non stanno proprio così.

L’amore per il lavoro, infatti, non è un sentimento innato riservato a pochi eletti, ma una strategia, l’ennesima, che il neoliberismo ha messo in campo semplicemente per spingerci a lavorare di più.

Non solo: anche se tu credi di amare il tuo lavoro, lui di sicuro non ama te. È proprio la devozione incondizionata – come l’amore, appunto – al lavoro che ci rende sfruttati, esausti, infelici. Ed è da qui che dobbiamo partire per cambiare le cose. Questo libro è anche, e soprattutto, un invito a farlo: cambiare le cose.

“La beffa più grande del capitale è stata convincerci che il lavoro sia il nostro più grande amore - scrive Jaffe - Liberare l’amore dal lavoro, allora, è la chiave per ricostruire il mondo”.

Non dipende da te, Mariachiara Montera, Einaudi, 2,99€, 55 pp.

Vergogna. Merito. Successo. Ci insegnano che se non riusciamo ad arrivare in alto è perché non ci siamo impegnati abbastanza. Che non siamo abbastanza. Che siamo un fallimento. Ma anche in questo caso, non è così semplice.

Volere è potere? Non se si parla di lavoro, ci dice Mariachiara Montera in questo breve ma efficacissimo saggio che, attraverso riflessioni e dati prova a farci uscire dal vortice di ansia che ci cattura quando guardiamo al mondo del lavoro attraverso la lente dell’insuccesso per spostare lo sguardo sugli elementi oggettivi che si frappongono tra ciascuno di noi – e la sua storia – e “la vetta”.

Privilegio, reti sociali, sistema neoliberista, storture del mondo del lavoro: tutte “quelle forze più grandi, politiche ed economiche, che spostano gli equilibri e i percorsi delle persone” trovano spazio in queste pagine per mostrarci – ricordarci – che non siamo gli unici artefici del nostro destino e che il mito del self made man che solo con le sue forze (e per i suoi meriti) spicca su una massa di mediocri falliti è, appunto, un mito.

Non è questo che sognavo da bambina, Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio, Garzanti, 16,90€, 288 pp.

Quella di Ida potrebbe essere la storia che moltissimǝ di noi hanno vissuto, almeno per un periodo della loro vita: neolaureata, fuorisede, precaria, stagista. La storia di chi, ormai sulla soglia dell’età adulta, si trova a fare i conti con la realtà, che è diversa – molto diversa – da quella che aveva immaginato per sé.

Social media manager per ripiego e non per scelta – un destino che, purtroppo, è condiviso da moltissimi lavoratori del settore culturale che non trovano sbocchi professionali se non nel mondo digitale – galleggia in un lavoro che non la appassiona, che le mangia tempo ed energie ma che, in cambio, non le dà quella stabilità che in fondo (forse?) vorrebbe.

Crescere, in fondo, significa ridimensionare le aspettative e accettare i compromessi. O no?

Leggi anche
recensioni
di Caterina Tarquini 4 min lettura
Letteratura
di Costanza Giannelli 4 min lettura