Economia

Quanto costa il randagismo?

Secondo Lav, un cane chiuso in canile richiede al comune circa 1.277 euro al mese. Come ridurre la spesa (che grava sulle spalle dei contribuenti)? Scegliendo l’adozione al posto dell’acquisto
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29 dicembre 2022 Aggiornato alle 20:00

Nel mondo si calcola l’esistenza di oltre 900 milioni di cani e di questi circa 200 milioni sono randagi. In Italia, nel 2012, il Ministero della Salute ne stimava un numero compreso tra i 500 e i 700.000. Oggi, secondo il Sindacato Italiano dei Veterinari, la cifra potrebbe essere più che raddoppiata. Dati difficili da raccogliere che si intersecano con il buco nero dell’illegalità, oltreché con l’impossibilità di calcolare con precisione il numero di animali vaganti sul territorio.

Nel 2021 si sono registrati nei canili e nei rifugi sanitari più di 130.000 nuovi ingressi tra cani e gatti che si sommano alle centinaia di migliaia già presenti all’interno delle strutture. Le adozioni si sono invece fermate a 112.000.

Secondo il rapporto dell’Eurispes, oltre il 40% degli Italiani decide di accogliere un amico a quattro zampe nella propria vita mentre, tra i principali ostacoli per il restante 60%, ci sono i numerosi costi da sostenere per la cura dell’animale.

Proprio a questi ostacoli si rivolgevano alcuni degli emendamenti proposti per la Legge di Bilancio 2023, nessuno dei quali è riuscito a farsi spazio. Bocciato a causa dell’assenza di adeguate fonti di copertura e dei tempi strettissimi per l’approvazione della manovra è il bonus animali, proposto dall’esponente di Forza Italia Michela Vittoria Brambilla. Questo prevedeva per le famiglie con un Isee inferiore ai 15.000 euro un bonus di 150 euro per ogni animale domestico, per un massimo di 3 animali e, conseguentemente, di 450 euro. La quota massima poteva poi raggiungere i 900 euro in caso di Isee sotto i 7.000 euro.

Tagliato fuori anche l’emendamento per l’abbassamento dell’Iva sulle prestazioni veterinarie, attualmente considerate come un bene di lusso e tassate al 22%. Infine non è stato riconfermato - non ha nemmeno raggiunto la votazione - il fondo a sostegno del randagismo nonostante fosse uno strumento fondamentale per la lotta all’abbandono, come sottolinea Lav.

L’acquisto di un cane, che riguarda il 24% dei proprietari, può avvenire perseguendo più strade, una legale e una meno. La prima si avvale degli oltre 4.000 allevamenti riconosciuti dall’Enci (Ente Nazionale della Cinofilia Italiana) sul territorio nazionale. Gli allevamenti riconosciuti hanno a cuore la tutela del cane e agiscono al fine di preservare la razza tramite la vendita di cuccioli sani e con pedigree. Questi dimostrano essere una delle scelte preferite degli Italiani: l’anno scorso hanno acquistato quasi 195.000 mila cani di razza. I costi, che possono variare notevolmente in quanto dipendono da una pluralità di criteri, partono in media dagli 800 euro fino a raggiungere anche i 3.000 euro per alcuni esemplari.

Pericolosamente diffusa è, poi, la tratta dei cuccioli a nero che presenta un valore di mercato stimato a 300 milioni di euro in Italia, e che, chiaramente, non compaiono nel Pil. Al suo interno guadagnano venditori privati che movimentano cuccioli di cane e gatti soprattutto dall’est Europa spesso in condizioni disastrose: a poche settimane di vita, non ancora svezzati, ammassati per lunghi viaggi e spesso imbotti di farmaci così da farli sembrare in salute all’acquirente. Il risultato? I cuccioli si ammalano e spesso non superano i pochi anni di vita.

Ogni anno circolerebbero circa 46.000 cuccioli, ma di questi solo la meta riescono a essere regolarmente tracciati. Secondo la ricerca finanziata dalla Commissione Europea On the welfare of dogs and cats involved in commercial practice, il giro d’affari nel continente sarebbe di circa 5,5 milioni di euro al mese, anche se, considerando la quota sommersa, probabilmente il valore effettivo è pari al doppio.

Ci troviamo, dunque, di fronte a canili strapieni e un business criminale che continua a essere alimentato e finanziato. Ma chi paga materialmente? I cittadini. I canili sono, difatti, sostenuti dal settore pubblico e, dunque, dai contribuenti tramite le tasse. Un singolo cane ha un costo medio di 1.277 euro l’anno secondo un calcolo di Lav, raggiungendo una cifra annuale di oltre 100 milioni di euro investiti nei canili. Se questi vengono moltiplicati per 7, ovvero gli anni che un cane attende in media di essere adottato, si superano i 700 milioni (un calcolo che non comprende i dati di Calabria e Campania, regioni che, al contrario, presentano dati di randagismo molto elevati, identificando una spesa totale decisamente più ingente).

Le condizioni, inoltre, sono il più delle volte amare: piccoli box gelidi d’inverno e cocenti d’estate, sotto il continuo latrato di tutti i rinchiusi.

I dati ci dimostrano come la tendenza all’acquisto dei cani, di razza e non, pesi sui conti pubblici. Il mercato con la sue domanda incentiva la nascita di nuovi cuccioli, con acquisti numerosissimi, a discapito delle migliaia di cani e gatti rinchiusi in un box e in attesa di un’opportunità.

Il rischio è quello di arrivare ai ritmi spagnoli dove nelle terribili perreras coloro che non vengono adottati in 10 giorni finiscono in lista per essere soppressi, spesso in modo cruente.

Alla luce di questa realtà si presta forse la necessità di pensare a un cambiamento dove l’approvazione di normative adeguate, da anni proposte e mai realmente attuate, ne rappresenterebbe sicuramente un passo fondamentale.

Accanto a queste, però, la possibilità di cambiare le cose risiede anche nelle nostre scelte: ridurre le cucciolate casalinghe e boicottare i traffici illeciti permetterebbe di trasformare una larga fetta di acquirenti in adottanti riducendo le presenze nei canili e nei gattili e, di conseguenza, riducendone i costi.

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