Ambiente

L’affare della natura

44.000 miliardi del Pil globale dipendono direttamente dai servizi ecosistemici. Il collasso della biodiversità significa collasso della produttività, con buona pace dei soloni del lasseiz-faire
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16 dicembre 2022 Aggiornato alle 06:30

La perdita della natura è un rischio economico. Questo è uno dei messaggi più chiari che emerge dai lavori del negoziato Onu della biodiversità, Cop15.

Lasciate perdere WWF e Greenpeace, a dirlo sono grandi società assicurative, task force finanziare, grandi banche di sviluppo multilaterali, istituti finanziari di sviluppo pubblici e privati. 44.000 miliardi del Pil globale dipendono direttamente dai servizi ecosistemici. Il collasso della natura significa collasso della produttività, con buona pace dei soloni del lasseiz-faire.

Un messaggio chiaro per il mondo della grande e media impresa: in futuro se vorrete accedere a finanziamenti o vorrete far crescere il vostro valore azionario non dovrete avere attività che distruggono la natura e riducono la biodiversità. E non lo farete come imposizione ma perché è la vostra salvezza di medio lungo termine.

Deforestazione, pesca insostenibile, uso di pesticidi, inquinamento da microplastiche, ecco alcune delle pratiche che si dovrà eliminare dal proprio modello di business.

Se sarà approvato il Global Biodiversity Framework, l’accordo quadro Onu sulla biodiversità fino al 2030, questo avrà diramazioni complesse quanto l’Accordo di Parigi, in grado di accelerare i processi in pochi anni, alcuni già messi in moto dall’Unione europea (anche se spesso indeboliti, specie dal settore dell’agrobusiness) e dagli Usa (America the Beautiful è un principio).

Il gioco di parte della politica di preservare lo status quo su inquinamento da pesticidi, sul sostegno alle monoculture (leggasi uva glera in Veneto), sulle aree marine protette, sull’ampliamento dei devastanti impianti sciistici, sulla legge del suolo, sul medio lungo termine risulterà dannossissimo per il sistema economico nostrano, che non sarà competitivo e allineato agli accordi internazionali.

Come già accaduto con la decarbonizzazione e con la plastica, serve indirizzare la transizione già da oggi, come stanno facendo intelligentemente alcune grandi aziende, dalla pesca all’agroalimentare. Il 2030 è lontano e vicino allo stesso tempo e viste le complessità delle sfide ambientali è sicuro che il prossimo accordo globale sulla natura sarà ancora più stringente.

Il governo italiano, che ha fatto la solita figuraccia internazionale, unico Paese dei G7 a non invitare un ministro dell’ambiente o delle finanze a Montreal, dovrebbe investire risorse per creare una task force sulla finanza per la biodiversità, evitando di relegarla solo a Cassa Depositi e Presiti, e sedere accanto al governo olandese, tedesco, francese, svizzero e inglese nel gruppo di lavoro sulla Taskforce on Nature-related Financial Disclosures (Tnfd) per fornire un quadro integrato per la gestione e la divulgazione dei rischi che consenta alle imprese italiane di segnalare e agire sull’evoluzione dei rischi legati alla natura.

La sfida per il settore finanziario e quelli industriale sarà trovare un sistema di disclosure, ovvero di rendicontazione e diffusione delle informazioni aziendali sugli impatti (che prima o poi diventerà obbligatorio per alcuni settori, tipo agroalimentare) con metriche chiare e semplici. «4 o 5 indicatori univoci e confrontabili, come la CO2 per le emissioni», spiega Ricardo Mourinho, vice-presidente della European Investment Bank (Eib), intervenuto qua a COP15 a Montreal. «Ci dobbiamo muovere in fretta e raccogliere dati in maniera sempre più efficiente». Non mancano i sistemi di benchmark presentati a COP15, da Encore alla metodologia di Science Based Targets Initiative.

L’attenzione insomma è altissima. Nell’accordo finale, il Global Biodiversity Framework si dovranno allocare fino a 200 miliardi l’anno per sostenere i Paesi in via di sviluppo, che sono quelli con la maggiore concentrazione di biodiversità, per la tutela della natura.

Il negoziato proprio in queste ore è in impasse su questo tema. Quanto e come sborsare.

Il risultato finale lo sapremo solo il 20 dicembre a conclusione del negoziato. Giovedì 15 dicembre sono arrivati i ministri e la pressione è altissima. Si gioca una partita fondamentale, che cambierà radicalmente tanti settori coinvolti, dal food al settore minerario, dalla cosmetica alle infrastrutture. Una partita globale molto più emozionante e definitiva della finale dei mondiali del sangue in Qatar.

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