Futuro

Alzheimer e Parkinson: un’origine comune?

Se confermata, l’ipotesi di 3 ricercatori dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr potrebbe aprire nuove strade alla diagnosi precoce delle due malattie neurodegenerative
Credit: Via Focus
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
1 dicembre 2022 Aggiornato alle 18:00

I morbi di Alzheimer e Parkinson potrebbero avere un’origine comune. Ad avanzare l’ipotesi sono 3 ricercatori dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche). Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista Ibro Neuroscience Reports, all’origine di entrambe le patologie ci sarebbe lo stesso meccanismo neurodegenerativo, che i ricercatori hanno ribattezzato Sindrome neurodegenerativa dell’anziano (Nes).

«La Nes è caratterizzata da 3 stadi progressivi, la prima fase inizia molti anni prima rispetto al manifestarsi dei sintomi clinici tipici delle 2 malattie, e in essa si può avere una progressiva perdita di neuroni che producono due importanti sostanze neuromodulatrici: noradrenalina e serotonina», spiega Daniele Caligiore, primo autore dell’articolo pubblicato insieme a Flora Giocondo e Massimo Silvetti.

«La perdita iniziale di questi neuroni neuromodulatori non produce però nel comportamento della persona alcun sintomo evidente che possa essere riconducibile ad Alzheimer o Parkinson – aggiunge Caligiore – Le disfunzioni iniziali possono essere dovute a diversi fattori genetici, ambientali o legati allo stile di vita, che chiamiamo semi, e possono interessare diverse parti del corpo».

Se confermata da futuri studi empirici, l’ipotesi potrebbe rivoluzionare la ricerca nell’ambito di queste due malattie neurodegenerative, indicando nuove strade per la diagnosi precoce e per lo sviluppo di terapie da attuare prima della manifestazione di sintomi clinici espliciti. Anche l’intelligenza artificiale potrebbe essere uno strumento per verificare o confutare l’ipotesi Nes.

«A questo proposito – sottolinea Caligiore – stiamo sviluppando degli algoritmi di machine learning per combinare e analizzare grandi quantità di dati eterogenei (clinici, genetici, di risonanza magnetica) su Alzheimer e Parkinson messi a disposizione da database internazionali per la ricerca scientifica, come Adni (Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative, ndr.) e Ppmi (Parkinson’s Progression Markers Initiative, ndr.) allo scopo di trovare delle traiettorie di neurodegenerazione comuni tra le 2 malattie».

Una notizia che fa il paio con quella arrivata sul fronte farmacologico. Il 29 novembre sono stati pubblicati i dati completi della sperimentazione clinica del Lecanemab, un nuovo farmaco per combattere l’Alzheimer sviluppato dalla società farmaceutica giapponese Eisai insieme alla multinazionale di biotecnologie statunitense Biogen.

I risultati confermano che il farmaco riduce il declino delle capacità mentali complessive dei pazienti del 27% in 18 mesi. «Questo è il primo farmaco che fornisce una vera opzione di trattamento per i malati di Alzheimer - ha affermato Bart De Strooper, direttore del Dementia Research Institute del Regno Unito presso l’University College di Londra - Sebbene i benefici clinici appaiano alquanto limitati, ci si può aspettare che diventeranno più evidenti nel tempo».

Al momento non esiste alcun trattamento ufficiale per curare la demenza senile e il morbo di Alzheimer, e prima di esultare sarà opportuno attendere l’autorizzazione da parte delle diverse autorità di regolamentazione. Dopo il fallimento di diverse sperimentazioni farmacologiche, negli ultimi anni i ricercatori hanno riconsiderato l’importanza dell’approccio preventivo.

Una commissione scientifica di Lancet, tra le più importanti riviste internazionali in campo medico, ha stimato stima che circa il 40% dei casi di demenza senile potrebbe essere prevenuto o ritardato eliminando fattori di rischio come pressione alta, bassi livelli di istruzione o contatto sociale, problemi di vista e udito, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, diabete, consumo eccessivo di alcol e inquinamento atmosferico.

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