Futuro

L’Alzheimer e il nuovo farmaco che dà speranza

Sviluppato dalla società farmaceutica giapponese Eisai e dalla statunitense Biogen, l’anticorpo monoclonale Lecanemab sarebbe in grado di contrastare del 27% la progressione del morbo
Credit: Nicolas Ladino Silva
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
3 ottobre 2022 Aggiornato alle 19:00

Un nuovo farmaco in fase di sperimentazione potrebbe rappresentare un punto di svolta nella lotta contro il morbo di Alzheimer. Si chiama Lecanemab, ed è stato sviluppato dalla società farmaceutica giapponese Eisai insieme alla multinazionale di biotecnologie statunitense Biogen.

Secondo uno studio condotto su circa 1.800 pazienti con Alzheimer in fase inziale, la cognizione delle persone a cui è stato somministrato il farmaco è diminuita del 27% in meno rispetto a quelli trattati con placebo dopo 18 mesi. Un risultato ancora esiguo, ma per la prima volta è stato dimostrato che un farmaco è in grado di alterare il corso della malattia.

Lecanemab è un anticorpo monoclonale che aggredisce le cosiddette “placche senili”, aggregati di proteina beta-amiloide caratteristici delle persone che soffrono di Alzheimer. È ancora dibattuto se tali placche siano responsabili del declino cognitivo delle persone affette da demenza, ma i risultati dello studio sembrano offrire ulteriori elementi a sostegno di questa tesi.

Entro marzo 2023, Eisai e Biogen prevedono di sottoporre il farmaco alla Food and Drug Administration (Fda) statunitense e all’Agenzia europea dei medicinali (Ema) per ricevere l’autorizzazione alla messa in commercio.

«L’annuncio di oggi dà ai pazienti e alle loro famiglie la speranza che il Lecanemab, se approvato, possa potenzialmente rallentare la progressione del morbo di Alzheimer e fornire un impatto clinicamente significativo sulla cognizione», ha affermato Michel Vounatsos, amministratore delegato di Biogen.

«Il morbo di Alzheimer non solo rappresenta una grande sfida per i pazienti e le loro famiglie, ma ha anche un impatto negativo sulla società, tra cui la diminuzione della produttività, l’aumento dei costi sociali e l’ansia correlata alla malattia – ha affermato Haruo Naito, amministratore delegato di Eisai –. Riteniamo che contribuire ad alleviare questi oneri avrà un impatto positivo sulla società nel suo complesso».

L’Organizzazione mondiale della sanità stima che oggi circa 55 milioni di persone siano affette da demenza senile, una malattia che fa registrare circa 10 milioni di nuovi casi ogni anno. Considerando la percentuale di anziani in aumento in molti Paesi, si prevede che questo numero salirà a 78 milioni nel 2030 e a 139 milioni nel 2050.

Al momento non è ancora disponibile alcun trattamento ufficiale per curare la demenza. Dopo il fallimento di diverse sperimentazioni farmacologiche e alcune ipotesi controverse, negli ultimi anni diversi ricercatori hanno riconsiderato l’importanza di un approccio preventivo.

Una commissione scientifica di Lancet, tra le più importanti riviste internazionali in campo medico, stima che circa il 40% dei casi di demenza potrebbe essere prevenuto o ritardato eliminando fattori di rischio come pressione alta, bassi livelli di istruzione o contatto sociale, problemi di vista e udito, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, diabete, consumo eccessivo di alcol e inquinamento atmosferico.

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