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Quota 103: come funziona?

Chi avrà almeno 62 anni compiuti entro il 31 dicembre 2023 e 41 anni di contributi versati, potrà lasciare il lavoro. Il provvedimento - anche chiamato “pensione anticipata flessibile” - sostituirà Quota 102 a fine 2022
Credit: Jack Finnigan
Tempo di lettura 4 min lettura
29 novembre 2022 Aggiornato alle 19:15

Il sistema pensionistico in Italia è a ripartizione: i contributi versati dai lavoratori e dalle imprese sono destinati al pagamento delle pensioni di coloro che hanno già cessato la loro attività lavorativa. Questo modello segue un meccanismo di tipo contributivo, pertanto l’importo della pensione dipende dall’ammontare dei contributi versati dal lavoratore nell’arco della vita lavorativa.

L’introduzione del nuovo provvedimento Quota 103, anche detto “pensione anticipata flessibile”, andrà a sostituire Quota 102 che terminerà con il concludersi del 2022. Secondo il sistema Quota 103, chi avrà almeno 62 anni di età compiuti entro il 31 dicembre 2023 e 41 anni di contributi versati potrà decidere di lasciare il lavoro e andare in pensione.

L’importo dell’anticipo pensionistico erogato durante tutto il periodo di maturazione dei requisiti generali della legge Fornero, che prevede l’uscita dal mondo del lavoro all’età di 67 anni con 20 anni di contributi, non potrà superare di 5 volte il valore della pensione minima, circa 2.600 euro lordi. Inoltre, l’assegno previsto per gli anticipatari non sarà cumulabile con altri redditi da lavoro.

Per fare un esempio, un lavoratore nato nel 1959 (63 anni) che lavora da quando ne ha 23, maturerà nel 2023 i contributi necessari per ottenere Quota 103. Un lavoratore della stessa età ma che ha iniziato a lavorare un anno dopo non può usufruire del provvedimento.

Il numero di persone a cui spetta il provvedimento si restringe intorno a circa 42.000 lavoratori. Tuttavia, negli anni di anticipo al raggiungimento dei valori necessari all’uscita dal lavoro, per coloro che percepiscono un reddito intorno ai 1.800 euro netti al mese il valore della pensione vedrà una riduzione compresa tra l’0,1% e il 5.6%. Mentre, per chi possiede un reddito medio-alto, dai 3.500 euro netti al mese in su, la variazione dell’assegno pensionistico sarà maggiore, con una diminuzione del 20%-25%. Una volta raggiunti i valori normali, l’assegno tornerà quello previsto all’inizio.

Al contempo, il governo prevede un bonus per coloro che non usufruiscono della pensione anticipata. Stiamo parlando del bonus Maroni, realizzato nel 2004 dall’ex ministro del Lavoro appena scomparso; tale incentivo consiste nel versamento in busta paga del lavoratore dei contributi previdenziali che sarebbero stati versati all’ente di previdenza dal datore di lavoro e dal lavoratore (il 33% dei contributi). Ciò non andrà a influire sulla pensione finale ma rimarrà identica a quella prevista senza bonus.

Nel dettaglio per andare in pensione in Italia dal 2023 esistono diverse strade: attraverso la normale pensione di vecchiaia, alla quale si accede all’età di 67 anni con 20 anni di contributi; attraverso il sistema di pensione anticipata, alla quale si può accedere con 42 anni e 10 mesi di contributi a prescindere dall’età anagrafica per gli uomini, e 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne; attraverso Quota 103, possibile con un’età minima di 62 anni e 41 anni di contributi; attraverso l’Ape sociale, indennità economica erogata all’uscita dal lavoro a 63 anni per alcune categorie di lavoratori in difficoltà o che svolgono lavori gravosi (quest’ultima è calcolata sulla base dei contributi versati all’Inps, ed è erogata fino al raggiungimento dell’età pensionabile); attraverso Opzione Donna, provvedimento che consente alle donne lavoratrici con 60 anni di lavoro e 35 anni di contributi di andare in pensione anticipatamente.

Nello specifico, Opzione Donna viene riconosciuta sia secondo determinati requisiti anagrafici sia in base alla presenza di diverse fragilità da parte delle lavoratrici, vale a dire: essere caregiver, ossia coloro che assistono, al momento della richiesta o da almeno 6 mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità; possedere una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile (superiore o uguale al 74%); essere lavoratrici licenziate o dipendenti da determinate imprese che si stanno occupando di gestire la propria crisi aziendale.

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