Economia

Quota 103: l’ennesima novità per i futuri pensionati

In principio era 100 (62 anni d’età e 38 di contributi), poi 102 (64 e 38). Dopo il 31 dicembre 2022, il sistema pensionistico italiano potrebbe subire un’altra modifica (62 e 41)
Credit: ANSA-EPA ROBIN UTRECHT
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17 novembre 2022 Aggiornato alle 14:00

Il primo sistema a quote introdotto nel 2019, previsto in via sperimentale fino al 2021, permetteva ai lavoratori di età anagrafica di 62 anni e con almeno 38 anni di contributi (quindi con una somma aritmetica pari a 100) di lasciare il lavoro prima dei criteri minimi richiesti per la pensione di vecchiaia prevista con la legge Fornero, rispettivamente 67 anni di età e 20 di contributi versati. La misura, costata circa 12 miliardi, con un totale di 380.000 pensionamenti nel 2021 e margini di crescita di oltre 450.000 a fine 2025, è stata messa in panchina dal governo Draghi.

L’inizio dell’anno infatti è stato segnato dall’ingresso di Quota 102, della durata di un solo anno, che permetteva di lasciare in anticipo il lavoro con il medesimo ammontare di contributi ma con un’età di 64 anni. Tuttavia, a differenza del precedente, questa forma di flessibilità ha avuto un debole successo: appena 3.860 domande accolte nei primi 5 mesi.

Entrambe le manovre permettono di presentare la domanda di pensione anticipata anche oltre la loro conclusione, purché i requisiti siano stati raggiunti prima della data ufficiale di scadenza prevista dalle rispettive norme, oltre alla normale decorrenza (o “finestra”) di 3 mesi - 6 per i dipendenti pubblici - dal raggiungimento dei requisiti.

L’attesissima presentazione della legge di bilancio del governo Meloni, in arrivo nelle prossime settimane, si presume già ricca di novità non solo in campo di caro energia e reddito di cittadinanza, ma anche in materia pensionistica.

Il sistema previdenziale italiano dovrebbe infatti subire una nuova modifica dal primo gennaio del 2023 con l’arrivo – anche questo con una vita di soli 12 mesi- di Quota 103 che, a differenza delle precedenti versioni, consentirebbe di andare in pensione una volta raggiunti i 62 anni e 41 di contribuzione. Non si esclude tuttavia che le pressioni della Lega facciano scendere i requisiti di età di un anno, pur comunque rimanendo difficilmente realizzabile la loro “Quota 41” che, con un costo stimato per 4 miliardi di euro, farebbe lasciare il lavoro a chiunque abbia versato 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica.

Sempre nell’idea di contenere i costi troppo gravosi per le casse statali, sembrerebbe cestinata la possibilità di incentivare il rinvio della pensione una volta raggiunti i requisiti anagrafici e contributivi richiesti attraverso un totale azzeramento dell’aliquota contributiva Ivs - pagata per il 9,19 % dai lavoratori con il 33% della loro retribuzione lorda e necessaria per finanziare le pensioni di vecchiaia - e un contestuale aumento dello stipendio per ogni anno di rinvio.

Rimangono invece intatte le altre forme di pensionamento anticipato, come la possibilità per i lavoratori “precoci” - che hanno versato un anno di contributi prima dei 19 anni - con 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 e 10 mesi per gli uomini. Previste anche le proroghe di un anno per strumenti di flessibilità pensionistica come Opzione donna (che permette il prepensionamento delle lavoratrici dipendenti di 58 anni e delle autonome di 59 una volta raggiunti i 35 anni di contributi, pur sostenendo un taglio del 25-30%) e l’Ape sociale (che fa accedere alla pensione i soggetti che svolgono lavori usuranti una volta raggiunti i 63 anni e 36 di contributi, mentre prevede una riduzione a 30 anni di anzianità contributiva per invalidi e lavoratori con familiari con disabilità a carico).

Il governo è a lavoro per scongiurare a ogni costo l’ipotesi della legge Fornero che senza interventi in extremis ritornerebbe pienamente in vigore all’inizio del 2023. La riforma, che prende il nome dall’allora ministra del lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero, inserita nella manovra “Salva Italia” del Governo Monti del 2011, completa il passaggio già iniziato nel 1995 dal sistema retributivo - con un calcolo della pensione in percentuale all’ultima retribuzione percepita, solitamente più alta delle precedenti - a uno contributivo, meno favorevole per i lavoratori proprio perché, tanto maggiori sono i contributi versati, tanto più alta sarà la loro pensione, privilegiando dunque un’ uscita dal lavoro posticipata anche attraverso incentivi graduali fino ai 70 anni di età.

Resta da vedere quali alternative saranno sviluppate dal nuovo esecutivo, nella speranza che i regimi fiscali più flessibili e agevolati presenti all’estero non spingano altre migliaia di pensionati italiani a fare le valige.

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