Diritti

Il bullismo non è un problema dei giovani

Il ministro dell’Istruzione e del Merito sembra essere ossessionato dal bullismo e dall’idea di punire i giovani. Peccato che il problema sia altrove
Frame dal film "I figli della violenza", 1950 di Luis Buñuel
Frame dal film "I figli della violenza", 1950 di Luis Buñuel
Tempo di lettura 7 min lettura
30 novembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Il nuovo ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, non sembra avere molta stima dei giovani, cosa che mi colpisce non solo perché titolare di dicastero fondamentale nel determinare le sorti della popolazione giovanile, ma anche perché risulta essere (o essere stato) professore ordinario all’università.

So benissimo che la vita del professore nei grandi atenei non è basata sul contatto diretto e quotidiano con gli studenti, ma non posso fare a meno di restarne un po’ basita. In particolare, mi colpisce l’ossessione di Valditara per due cose: l’umiliazione come metodo di correzione del comportamento, e il bullismo giovanile come fenomeno endemico e priorità assoluta del suo ministero. Tanto da esserci tornato più volte, con toni, intenti e vocabolario quasi ossessivi.

Lasciamo perdere per ora che la scuola e l’università hanno problemi che non sono gli studenti. Sono sicura che ci torneremo, perché questo ministero appena insediato promette di darci molto di cui discutere. Per questa volta vorrei restare sul tema del bullismo: il ministro, come dicevo, sembra esserne ossessionato. Ne ha parlato nel famoso intervento di Milano in cui ha suggerito (più volte) che il rimedio per questa gravissima piaga del mondo dell’istruzione sia l’umiliazione dei bulli tramite “lavori socialmente utili”: suggerimento per cui Valditara si è scusato, ma solo sul fronte lessicale. Ha detto “umiliazione” al posto di “umiltà”, ecco, se avete tempo provate a sostituire “umiltà” nelle frasi del ministro e ditemi se il discorso regge. La risposta è no.

È tornato sull’argomento anche durante un’ospitata nel programma A cena da Maria Latella, un format finora passato quasi inosservato ma che è emerso all’attenzione proprio per una puntata che lo vedeva protagonista insieme a Bruno Vespa e ad altri ospiti. Lo spezzone in cui Valditara e Vespa si sbizzarriscono nel cercare punizioni sempre più creative per i bulli è diventato virale, con più di qualcuno che si è spinto a evocare il cinema di Buñuel, con gli anziani potenti che si abbuffano mentre parlano di obbligare i giovani a pulire le scuole, o di chiuderli dentro le biblioteche. Lasciamo perdere che molte scuole le biblioteche manco le hanno, e forse questo sarebbe un problema un attimo più urgente: il proponente di questo metodo di correzione è Bruno Vespa. Per un momento ho avuto un flash, studenti chiusi in una stanza piena solo dei libri che Vespa sforna puntualmente ogni anno intorno a Natale. Sono sicura che ci sia un paragrafo specifico nella Convenzione di Ginevra.

Quello che Valditara sembra ignorare (o finge di non sapere) è che il bullismo è tutto meno che un problema specifico dei giovani, dato che il suo partito, la Lega, lo utilizza di routine per catalizzare l’odio dell’elettorato di destra contro quelli che percepisce come nemici politici. Stranieri e donne sono i bersagli preferiti: negli anni, diverse politiche e intellettuali sono state fatte oggetto di attacchi mirati, pensati per fomentare l’odio contro di loro. Penso a Laura Boldrini o Michela Murgia, ma in generale la creazione di bersagli mobili è una specialità della comunicazione leghista. Le persone esposte in questo modo all’aggressività delle folle rischiano letteralmente la vita e la salute, fisica e mentale: ma questo a Valditara, evidentemente, non interessa. I bulli sono sempre gli altri.

Il bullismo è una modalità che viene appresa dagli adulti e riprodotta dai più giovani proprio perché funziona. Gratifica il bullo, che spesso ha bisogno di rifarsi a sua volta per angherie subite da altri o in famiglia, e opprime e silenzia l’oggetto della sua persecuzione. Chi subisce bullismo e angherie tende a mettere in atto nel momento una strategia di contenimento del danno che passa quasi sempre per la sottrazione: mette i social in modalità privata o cancella i profili, esce meno, si fa vedere di meno, evita i posti e le situazioni che possono essere traumatizzanti.

La risposta non può essere “non dargliela vinta”, ovviamente, perché siamo tutti eroi con la vita bullizzata degli altri. Ma non può essere nemmeno “umiliamo i bulli”, specialmente perché quanto proposto da Valditara non andrebbe certo a toccare i potenti, e di sicuro non il leader del suo partito, uno che almeno una volta ha citofonato a un ragazzino bolognese per chiedergli, a favore di telecamera, se fosse dedito ad attività di spaccio. Sempre lo stesso leader, non sapendo come gestire una situazione complessa e tragica come quella dei naufraghi tratti in salvo dalle navi delle Ong, ha pensato più volte di tenerli al largo in condizioni di sofferenza psicofisica estrema, contravvenendo alle leggi internazionali sul soccorso in mare. Anche questo è bullismo.

Che l’umiliazione non sia un metodo educativo ma solo un modo per causare nuovi traumi e fomentare il risentimento lo dice una tradizione psicopedagogica lunga decenni. La cura per il bullismo è l’empatia, è l’educazione e l’abitudine a mettersi nei panni dell’altro, cosa che purtroppo la rete e i social rendono più complesso. Se Valditara volesse davvero occuparsi del problema, potrebbe cominciare a lavorare con il Ministero della Giustizia per affrontare la questione in maniera ampia e coordinata: lato scuola, con l’introduzione dell’educazione affettiva e relazionale come materia obbligatoria a partire dalla prima infanzia. Lato giustizia, con una discussione seria e approfondita che consideri le responsabilità individuali nell’istigazione alla violenza e le persecuzioni anche a mezzo social.

Non è una questione secondaria. La violenza verbale e le aggressioni coordinate contro chi fa politica o attivismo non sono considerate un problema, e invece lo sono. Ne ha parlato Valeria Fonte nel suo libro intitolato Ne uccide più la lingua (DeAgostini), e in generale ne parlano di continuo le persone che parlano di politica e temi sociali in rete. Fonte, in particolare, è stata protagonista di un caso abbastanza noto di ritorsioni a mezzo social: si è vista sospendere il profilo Instagram a seguito di una segnalazione di massa da parte dei fan di una trasmissione che aveva criticato per contenuti sessisti.

All’estero esistono diversi casi noti di persone che hanno dedicato tutta la loro presenza in rete e non alla persecuzione di soggettività poco tutelate: LibsofTikTok, gestito dall’estremista di destra Chaya Raichik, è un profilo Twitter che prende di mira le persone Lgbtq, accusandole di pedofilia ed esponendole all’odio dei suoi milioni di follower. La streamer e attivista trans Keffals, all’anagrafe Clara Sorrenti, è stata costretta ad abbandonare il Canada e a cambiare residenza più volte dopo essere stata perseguitata dagli utenti e dai fondatori del forum KiwiFarms, che sono arrivati a causarne l’arresto denunciandola alle autorità per nessun altro motivo che il desiderio di farle del male.

La legge italiana è molto carente sul fronte dei reati che avvengono in rete e sui social, e la discussione in materia è molto scivolosa: è spesso difficile tracciare il confine fra contenuti persecutori e libertà di espressione di un pensiero anche fortemente critico, un confine che non può che tenere conto del differenziale di potere. Una cosa è chiara: il bullismo è tutt’altro che un malcostume giovanile: per molti, anzi, è una modalità relazionale e una strategia politica che passa inosservata. Di tutto questo sarebbe bene che Valditara avesse voglia di occuparsi, quando avrà finito di discettare di umiliazioni esemplari.

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