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Bodyshaming, una malattia contemporanea

In una società che fa della bellezza un imperativo, è possibile smettere di fare violenza ai corpi altrui (e nostri)? Intervistata da Francesca Fagnani, la cantante Noemi ha riacceso i riflettori sulla questione
Credit: Polina Tankilevitch/ Pexels
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
23 novembre 2022 Aggiornato alle 13:00

«Oggi si parla molto di bodyshaming ma si vede che nel 2018 non era di moda. Ero a Sanremo, ero molto in carne. C’è Michelle Hunziker che aveva questo vestito molto simile al mio, tutto aperto sul davanti. Hanno fatto un meme: da una parte lei, da una parte io, quando lo ordini su Wish, quando ti arriva a casa – e c’ero io -. Devo dire che mi sono sentita ferita proprio come donna, mi sono sentita messa in discussione proprio come essere umano».

Intervistata da Francesca Fagnani per Belve, la cantante Noemi non ha solo riaperto una ferita personale, ma ha riacceso i riflettori su un tema che ritorna periodicamente e che colpisce non solo vip e celebrities ma tuttǝ noi: il bodyshaming.

Bodyshaming: cosa è

Secondo la definizione che ne dà il Dizionario Treccani, il termine bodyshaming (da body “corpo” e shame “vergogna”) significa “Il fatto di deridere qualcuno per il suo aspetto fisico”. Si tratta di una forma di bullismo verbale che ha come oggetto il corpo e i suoi presunti difetti. In molti casi, come in quello che ha coinvolto Noemi, è sul web che si consuma, ma non è un fenomeno esclusivamente digitale: pensiamo a quanti commenti offensivi abbiamo ricevuto nella nostra vita, da amici, conoscenti, familiari, colleghi o magari perfetti sconosciuti che si sentono in diritto di urlarci i peggiori epiteti mentre passiamo loro vicino.

Quello che ha fatto il web è favorire la diffusione di un fenomeno che esisteva già da molto tempo. Dall’inizio dei tempi, come ricorda un articolo di Focus che ne ripercorre la storia.

Quando parliamo di bodyshaming pensiamo immediatamente al peso e alla forma fisica, ed è vero che la grassofobia e i suoi effetti costituiscono una parte non indifferente dei giudizi e delle offese che vengono riservate ai corpi altrui (oltre che ai nostri).

Il bullismo verso i corpi, però, può avere diversi obiettivi: la magrezza, innanzi tutto, ma anche la statura, i peli, i capelli, la pelle (in particolare se colpita da malattie e disturbi considerati antiestetici, come l’acne e la psoriasi), i capelli, occhi, nasi, bocche e chi più ne ha ne metta. L’elenco potrebbe essere lunghissimo, perché comprende tutto ciò che non si adatta agli ideali di bellezza stabiliti (ma estremamente variabili) che ogni cultura applica ai suoi membri.

Bodyshaming: perché?

I canoni estetici, infatti, variano in base ai luoghi e ai tempi: ci sono dei pregiudizi che hanno origine nella superstizione popolare (come la discriminazione contro le persone con i capelli rossi) o negli stereotipi culturali, come l’associazione capelli-biondi stupidità, altri si modificano nel tempo, intrecciandosi con i mutamenti politici e sociali, come mostra in maniera chiarissima Amy Erdman Farrell nel suo Fat shame. Lo stigma del corpo grasso, in cui ripercorre il percorso che ha portato alla comparsa della grassofobia concentrandosi sulle sue radici culturali, industriali e mediche evidenziandone le interconnessioni con colonialismo e razzismo, mettendo in risalto i dispositivi che creano la narrazione del “corpo grasso” come un “corpo primitivo, inferiore, difforme rispetto ai canoni stabiliti dalla società”.

Ma pensiamo anche a un elemento piccolo e banalissimo come le sopracciglia: anni fa le sopracciglia folte erano ridicolizzate, oggi tantissime persone ricorrono a laminazione o trucco permanente per riparare i danni di anni di spinzettamento folle, mentre già all’orizzonte fa capolino, di nuovo, la moda delle ali di gabbiano. Moltiplichiamo tutto questo per ogni parte del nostro corpo e sarà evidente quando è impossibile che i nostri corpi siano “perfetti” e che, quindi, ogni centimetro di noi è esposto a critiche e giudizi che spesso assumono anche toni violenti, che spesso si nascondono dietro un ipocrita “ma lo dico per il tuo bene”.

La bellezza nella nostra società è un imperativo, anche morale: l’associazione tra “brutto” e “cattivo” è infatti ben lungi da essere superata. Quali siano i modelli a cui conformarsi ce lo dicono le immagini che ci bombardano tutto il giorno, ogni giorno, da social, tv, riviste, cartelloni pubblicitari. Non è un caso che le persone belle – e, più in generale, chi si attiene ai canoni imposti al proprio genere dalla propria cultura, come gli uomini alti – secondo gli studi guadagnino di più: una ricerca a esempio, aveva mostrato che chi è più avvenente della media guadagna il 5% in più, mentre i “brutti” quasi il 10% in meno. Secondo altre analisi questo vantaggio economico arriverebbe addirittura al 15-20%: in ogni caso, tutti sono concordi sul fatto che “bello è più ricco”. O, meglio, bello è più tutto.

Del resto, come ha insegnato a una generazione di femministe Noemi Wolf nel suo Il Mito della Bellezza, i corpi delle donne non sono neutri e la bellezza e la cura di sé, prima che caratteristiche fisiche, nel sistema patriarcale sono un dovere. Wolf si concentrava sui corpi femminili, ma le statistiche ci dicono che il bodyshaming riconosce meno le distinzioni di genere di quello che potremmo aspettarci.

I dati sul bodyshaming

Le indagini e gli studi sul bodyshaming sono sempre più numerosi: quello che emerge è una sostanziale concordia sul fatto che si tratta di un fenomeno diffusissimo, che ha colpito in media 9 persone su 10, soprattutto nella fase dell’adolescenza.

Secondo un’indagine di Nutrimente, il 94% delle adolescenti e il 65% dei ragazzi è stato vittima di body shaming, nella maggior parte dei casi da parte di coetanei. Anche i 6 mila ragazzi tra i 10 e i 17 anni che hanno risposto alle “Domande Scomode sull’adolescenza”, una ricerca realizzata da Skuola.net in collaborazione con Lines e Tampax, hanno confermato che 9 di loro su 10 erano stati vittima di commenti offensivi sul proprio corpo: nel 60% dei casi erano i compagni a farli e per 1 intervistatǝ su 3 il bodyshaming era un supplizio quotidiano.

Sebbene sia le donne che gli uomini siano oggetto di bodyshaming (pensiamo all’ironia sulla statura dell’ex ministro Brunetta, che ha indubbiamente tantissimi motivi per essere criticato tra cui però non rientrano i centimetri in meno), i messaggi che le donne ricevono sui loro corpi tendono a influenzarle molto più a lungo. Uno studio del 2016 ha rilevato che andando avanti con l’età le donne riferiscono livelli costanti di bodyshaming e conseguente vergogna verso il proprio corpo, mentre gli uomini iniziano a riferire di sentirsi più sicuri. I ricercatori hanno concluso che ciò è dovuto al fatto che, culturalmente, è più accettabile commentare il corpo di una donna sia che abbia 14 anni o 84 anni.

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