Diritti

Messico: niente più terapie di conversione

Il Senato ha approvato una riforma per penalizzare la pratica: fino a 6 anni di carcere per chiunque la esegua, imponga o finanzi. Il provvedimento ora passa alla Camera
Una compagnia Lgbtq+ celebra la diversità sessuale con alcune danze messicane
Una compagnia Lgbtq+ celebra la diversità sessuale con alcune danze messicane Credit: EPA/Fabricio Atilano
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25 ottobre 2022 Aggiornato alle 09:00

Una buona notizia giunge da oltreoceano. Il Senato Messicano ha approvato una riforma per eliminare e penalizzare le “terapie di conversione” che negli ultimi anni avevano dato luogo a moltissimi casi di abuso nel Paese latino-americano. Il provvedimento dovrà passare ora alla Camera dei Deputati dove ci sono ottime possibilità che diventi legge senza incontrare particolari ostacoli.

Una volta approvata, la riforma imporrà fino a 6 anni di carcere per chiunque esegua, imponga o finanzi qualsiasi genere di trattamento o terapia volta a reprimere l’orientamento sessuale o l’identità di genere di un’altra persona. Nel caso in cui questi procedimenti vengano praticati su minori di 18 anni, su persone anziane o disabili la pena potrà essere raddoppiata.

Le cosiddette terapie di conversione, o riparative, sono approcci che, senza nessun fondamento scientifico, partono dal presupposto che tutte le persone nascono eterosessuali e che l’omosessualità sia soltanto una malattia o una devianza del comportamento sessuale.

I primi tentativi di patologizzare l’omosessualità risalgono alla fine del XIX secolo. Già nel 1886 il sessuologo tedesco Richard von Krafft-Ebing l’aveva inserita nella sua lista delle 200 pratiche devianti del comportamento sessuale. Anche Freud credeva che in ogni omosessuale ci fossero dei “germi di eterosessualità” ma, nonostante la considerasse il frutto di un’evoluzione incompleta e di un complesso di Edipo non risolto, non considerò mai l’omosessualità “né una malattia né una depravazione” e si espresse negativamente sulla possibilità di modificare l’orientamento sessuale con la psicanalisi.

Fu solo dopo la sua morte che le terapie di conversione presero piede con più forza, in particolare negli Stati Uniti, dove l’American Psychiatric Association (Apa) nel 1952 per la prima volta classificò ufficialmente l’omosessualità nella lista delle malattie mentali, da cui venne tolta solo nel 1973 grazie al lavoro della psicologa Evelyn Hooker.

Nel 1990 anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) si espresse contro le terapie di conversione e contro il loro assunto primario, ovvero che nasciamo tuttə eterosessuali e che l’omosessualità derivi da condizionamenti ambientali o da traumi nell’infanzia.

Nonostante tutte le smentite della comunità scientifica, le terapie di conversione continuano a trovare appoggio e credito presso gli ambienti della destra reazionaria che si basano su una visione etero-cis-patriarcale della realtà. I metodi applicati sono i più svariati e vanno da pratiche pseudopsicologiche a preghiere, esorcismi, ipnosi, trattamenti ormonali fino a vere e proprie torture come privazione del sonno e del cibo, percosse e perfino elettroshock.

Approvando la riforma che vieta e penalizza queste pratiche, il Messico ha segnato un punto a favore del libero esercizio della sessualità e dei diritti della comunità Lgbtq+. Sono però ancora pochissimi i Paesi che si sono espressi in questo senso: Germania, Brasile, Taiwan, Ecuador, Malta, alcune regioni di Spagna, Canada, Australia e alcuni stati Usa.

L’Italia rimane fuori dal gruppo. Nel 2016 si era presentata l’opportunità di vietare le terapie di conversione con un disegno di legge presentato da Sergio Lo Giudice, allora senatore dem, ma la proposta non è mai stata discussa. Nemmeno il ddl Zan è riuscito ad accendere il dibattito pubblico sul tema.

Nel frattempo, secondo la Società Italiana di Andrologia il 10% deə giovani appartenenti alla comunità Lgbtq+ vengono sistematicamente sottopostə a pratiche che mirano a correggere l’orientamento sessuale. Il numero potrebbe essere maggiore dal momento che queste pratiche si collocano in una zona grigia, ed è spesso difficile recuperare dati esatti sulla portata del fenomeno.

Le terapie spaziano in un ventaglio molto ampio di pratiche, che vanno dalla psicoterapia a riti pseudo spirituali, all’utilizzo di farmaci, fino a interventi fisici molto dolorosi. Tutte innegabilmente traumatiche e dannose per la salute mentale, che contribuiscono non poco all’aggravarsi del minority stress che colpisce le persone della comunità Lgbtq+.

Il fatto che il Senato Messicano si sia pronunciato contro queste pratiche e che l’intenzione sia quella di penalizzarle definitivamente è, dunque, un’ottima notizia, ma rimane solo un piccolo spiraglio di luce in una più grande oscurità. Abbiamo la responsabilità di chiedere a gran voce che i diritti di tuttə siano rispettati, che nessunə debba più sopportare l’imposizione di queste pratiche atroci, che il tema rimanga al centro del dibattito dei gruppi di attivistə e politici.

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