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Abbiamo grano a sufficienza per l’inverno?

Ne produciamo circa 8 milioni di tonnellate in tutta Italia. Ma, come conferma Coldiretti, la siccità ha portato a un calo del 15%. E poi c’è quello importato…
Credit: Darla Hueske/unsplash
Tempo di lettura 6 min lettura
28 settembre 2022 Aggiornato alle 14:15

8 milioni di tonnellate di frumento. È il totale complessivo prodotto in Italia, suddiviso tra le varie zone del Paese. Una produzione che, a sua volta, si divide tra 2 realtà: quella che si dedica prevalentemente al grano duro (Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Molise, Abruzzo, Marche, Lazio, Sardegna e Toscana) e quella in cui ci si concentra sul grano tenero (Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Lombardia e Piemonte).

Gli ultimi dati di Coldiretti stimano un calo del 15% per effetto della siccità che ha colpito lo Stivale (la stima è stata diffusa in occasione dell’avvio della trebbiatura). Il segno “meno” si è allargato un po’ a tutte le regioni: sia in Emilia Romagna che in Veneto si registrano cali intorno al 10%, tra le zone del centro e del Sud invece si arriva a picchi del 15-20% con un crollo del raccolto che varia dal 15 al 30%.

Il raccolto globale dovrebbe attestarsi attorno ai 6,5 miliardi di chili su una superficie totale di 1,71 milioni di ettari tra grano duro per la pasta (1,21 milioni di ettari) e grano tenero per pane e biscotti (oltre mezzo milione di ettari).

Nonostante il dato produttivo non indifferente, il fabbisogno nazionale è talmente alto da richiedere un’importazione continua. A oggi il grano importato è pari alla metà del totale di cui si fa uso, in larghissima parte per la produzione pastaria. All’Italia non basta essere il maggior produttore dell’area del mediterraneo e il secondo al mondo dopo il Canada.

Proprio dal Paese del Nord America, ma anche da Stati Uniti, Grecia, Francia e Kazakistan, l’Italia importa la maggior parte del grano. Secondo i dati precedenti alla guerra in Ucraina, una piccola fetta veniva immessa sul territorio prendendola dalla Russia.

La produzione di grano in Italia nel 2021

La produzione di grano è in calo anche a livello mondiale ed è influenzata a livello geopolitico dalla situazione in Russia e Ucraina, due grandi esportatori, sebbene in misura non così elevata in Italia. I dati del 2021 dicono che l’Italia ha importato 2,2 milioni di tonnellate di grano duro, principalmente per necessità legate a pane e pasta. Altre 4,5 milioni di tonnellate sono invece quelle importate per il grano tenero, solitamente destinato a dolci e altri lievitanti. Il totale è di 6,8 milioni di tonnellate.

Di queste, poco più di 96.000 arrivano dalla Russia e 122.000 dall’Ucraina. Insieme sono il 3,2 % del grano importato in un intero anno. In particolar modo il grano duro non proviene dalle zone oggi caratterizzate del conflitto: zero tonnellate dall’Ucraina e 57.000 dalla Russia, il 2,5 % del totale. Resta invece molto alto il livello di importazione dal Canada, il 46% per il grano duro e il 23% del grano tenero. Notevole anche l’apporto dalla Francia, che contribuisce per il 16% del grano tenero.

In compenso, come detto, Russia e Ucraina forniscono in maniera nettamente maggiore gli altri Paesi, coprendo il 21% delle esportazioni globali di grano duro e il 10% di grano tenero. In particolar modo la parte del Pianeta a cui si rivolge l’export dei due Paesi è quello geograficamente caratterizzato da Egitto, Tunisia, Turchia e parte dell’Asia.

Già prima del 2022, anno dopo anno sono spesso cambiate la produzione e il fabbisogno di grano in Italia. La Regione in cui si coltiva più grano duro è sempre la Puglia, con un incremento decennale dal 2010 al 2020 che è passato da 283.870 ettari e 334.300 ettari. La regione ha così superato la Sicilia, che fino a dieci anni fa era in testa alla speciale classifica nazionale con un dato di poco sopra ai 301.000 ettari.

Proprio l’inizio del nuovo decennio ha segnato un punto di svolta importante a livello internazionale, perché la crescita della domanda non ha avuto un contro bilanciamento a livello di offerta e i prezzi sono vertiginosamente cresciuti. Prima della pandemia e di un anno fortemente caratterizzato dalla siccità, il grano duro aveva visto un rialzo del 5,6% della produzione, concentrato soprattutto tra il Nordovest (+ 15,2%) e il Nordest (+24,7%).

Il prezzo del grano è salito ulteriormente a livello europeo negli ultimi mesi per il conflitto tra Russia e Ucraina: +18% rispetto a un anno fa (dati diffusi a settembre da Eurostat) con picchi vertiginosi in Ungheria (+66%), Lituania (+33%), Estonia e Slovacchia (+32%). A destare preoccupazione nel mercato è la possibilità che si possano chiudere i corridoi per il commercio dei cereali e questo alimenta le speculazioni, facendo oscillare continuamente i prezzi.

In Italia, i produttori si confrontano (secondo gli ultimi dati di Coldiretti) con rincari del +170% per i concimi e del +129% per il gasolio, costringendo gli agricoltori a lavorare in perdita.

Come si coltiva il grano?

Le fasi della coltivazione del grano partono dalla preparazione del terreno. Nei mesi di ottobre - novembre si comincia con l’aratura, dopodiché avviene la fase della semina. Il campo di grano viene suddiviso in file equidistanti in modo da facilitare la crescita e la raccolta. A questo punto avviene la semina, non oltre i 5 centimetri di profondità.

Importante la prevenzione contro eventuali malattie. Per questo i semi vengono solitamente trattati con alcune polveri che agiscono da fungicida, mentre le piantine vengono concimate con prodotti a base di azoto, fosforo e potassio che favoriscono la fioritura e regolano il metabolismo delle piante.

Nel corso della crescita particolare attenzione viene posta agli attacchi dei parassiti vegetali, ma anche degli insetti come le larve di mosca. Motivo per cui vengono spesso utilizzati dei fungicidi anche quando è avviata l’emissione delle spighe.

Il giusto apporto da parte delle piogge consente un’irrigazione naturale del terreno nei mesi autunnali e invernali, fino a che in estate (solitamente a settembre) non avviene la parte della raccolta.

Grano saraceno: dove si coltiva?

Non è prettamente di produzione italiana il grano saraceno. Si tratta infatti di un prodotto che deriva da un seme di una pianta asiatica, il fagopyrum esculentum, coltivata in particolar modo nell’Europa orientale e che ormai da qualche anno caratterizza anche la tavola italiana.

La coltivazione del grano saraceno è molto diversa da quella che caratterizza il grano duro e il grano tenero nel nostro Paese. Dalla semina al raccolto, infatti, passano soltanto 3 mesi e la produzione non è così legata a terreni fertili o irrigazione. La coltivazione può invece avere grosse influenze in climi particolarmente rigidi, in cui si manifestano condizioni di gelo. Per questo la semina avviene nei periodi più caldi, quindi da aprile a giugno. Si attende la fioritura fino ad agosto e a quel punto si procede con la raccolta fino a ottobre.

L’Italia produce in misura nettamente maggiore grano duro e tenero, ma esistono alcune coltivazioni concentrate in particolar modo nelle province di Sondrio e Bolzano che sfruttano il clima mite per avere un risultato produttivo accettabile. Il raccolto avviene direttamente estirpando la pianta, lasciando poi i frutti al sole per la maturazione. Gli esperti consigliano però di mantenere la coltivazione del grano saraceno in un appezzamento a parte, dato il rapido sviluppo e l’invasività.

La produzione del sondriese ha un effetto tangibile su alcuni piatti tipici della zona, come i pizzoccheri valtellinesi o la polenta taragna. Al di fuori della caratterizzazione territoriale della provincia di Sondrio, il grano saraceno viene oggi utilizzato anche per insalate, zuppe, nonché nelle pizze e ha avuto uno sviluppo importante nei piatti per celiaci, non avendo controindicazioni per chi soffre della patologia.

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