Ambiente

Brasile: le nuove (insostenibili) varietà di grano

Secondo Bolsonaro, in 10 anni «esporteremo l’equivalente di quel che consumiamo». Ma gli scienziati avvertono: «se verrà usata troppa acqua, il resto della nazione soffrirà di siccità»
Credit: Pixabay
Tempo di lettura 3 min lettura
24 agosto 2022 Aggiornato alle 11:00

Nel febbraio di quest’anno le preoccupazioni per una crisi alimentare globale erano aumentate notevolmente a causa della guerra fra Russia e Ucraina, due dei maggiori esportatori mondiali di cereali. Ma nonostante il parziale blocco delle esportazioni, i prezzi sono tornati a livelli pre-guerra e i vari produttori mondiali stanno elaborando nuove soluzioni per evitare questi tipi di shock. Anche per rispondere all’aumento dei consumi della popolazione globale, proiettata oltre i 9 miliardi di persone nel 2050.

Al centro di questo sforzo vi è il Brasile, che secondo i ricercatori dell’istituzione statale federale brasiliana Embrapa, potrebbe diventare autosufficiente nella produzione di grano entro 10 anni grazie all’espansione della produzione nella ecoregione del Cerrado, una grande savana tropicale situata nella parte centrale e nord-orientale della nazione.

La produzione attuale è stimata intorno alle 6,2 milioni di tonnellate annue, con allo stesso tempo un’importazione di 6,4 milioni di tonnellate, cosa che ha spinto sempre di più le autorità brasiliane a ricercare nuove varianti di grano, più resistenti e più adatte al clima tropicale in rapido cambiamento.

Questa ricerca legata all’autonomia alimentare, e per ragioni di business commerciale, è il frutto di un lungo lavoro iniziato negli anni ‘70 quando il Brasile dipendeva per quasi tutto dall’estero. Con il paziente lavoro dei ricercatori si è riusciti a trasformare il Paese nel quarto esportatore mondiale di cibo e ora con la nuova variante di grano BRS 264, o la variante HB4, si spera di poter sfruttare ulteriori terreni per aumentare la produzione.

Secondo il presidente Jair Bolsonaro in 10 anni «esporteremo l’equivalente di quel che consumiamo in Brasile» e il suo ottimismo è condiviso dal dirigente Celso Luiz Moretti, a capo dell’Embrapa, il quale ha affermato che «se ci sono delle regioni del mondo dove possiamo espandere la produzione di cibo, queste sono le aree tropicali e sub-tropicali».

Ma l’ottimismo della classe dirigente non è condiviso da tutti gli scienziati, come la biologa Morgana Bruno della Università Cattolica di Brasilia che ha denunciato i possibili pericoli: «La produzione di cibo è importante, certamente. Ma la savana brasiliana è un fragile ecosistema, oltre che la casa di differenti piante e specie animali, ed è estremamente importante per l’intera economia idrica del Paese. Se troppa acqua verrà usata per le coltivazioni, il resto della nazione soffrirà di siccità».

Oltre ai problemi dell’impatto sull’habitat naturale, la società brasiliana deve tenere conto anche dell’aggravamento e dell’imprevedibilità della crisi climatica che nei primi tre mesi dell’anno ha comportato un declino dell’8% del settore agricolo. «Ci sarà dell’adattamento – gli agricoltori cambieranno i loro comportamenti, utilizzando più fertilizzante o altre varianti di grano – ma quello che è allarmante è il fatto che il segnale dal clima non è roseo», ha ammonito Jonas Jägermeyr, climatologo al Nasa Goddard Institute for Space Sciences.

Leggi anche
Alimentazione
di Jacopo Gitti 2 min lettura
Esteri
di Alessandro Leonardi 2 min lettura