Diritti

L’advertising non è lesbo chic

Nel 2016 una ricerca di Lloyds Banking Group denunciava la mancanza delle donne omosessuali in pubblicità. E ancora oggi la rappresentazione Lgbtq+ è quasi sempre dominata dal male gaze
Credit: Darina Belonogova/Pexels
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
20 settembre 2022 Aggiornato alle 21:00

Sul finire del 2017, un articolo di MarketingWeek titolava “Why are advertisers still failing to represent lesbians?”.

L’anno prima, una ricerca di Lloyds Banking Group aveva mostrato che, nel risicatissimo spazio che l’advertising dedicava alle minoranze (presenti nel 19% delle pubblicità), quello dedicato alle persone Lgbtqia+ era ancora più risicato: solo lo 0,06%. Tra queste, a essere sotto-sottorappresentate sono proprio le lesbiche.

Sono passati cinque anni e, nonostante un innegabile gigantesco passo avanti nella rappresentazione mediatica della comunità Lgbtqia+ (dovuta soprattutto ai giganti dello streaming e meno ai prodotti mainstream), in pubblicità la situazione non sembra essere cambiata in maniera sufficientemente impattante.

Pensateci: quante pubblicità con una coppia composta da due donne avete visto?

Certo, gli esempi non abbondano nemmeno tra le coppie di uomini, e questo è uno dei problemi principali del mondo della pubblicità, che continua a concepire come unico modello familiare la coppia eteropatriarcale, nondimeno alcune eccezioni “celebri” ci sono state: gli spot che Idealista rilascia ogni anno in occasione del Pride, a esempio, quello dei Quattro Salti in Padella Findus o la celeberrima campagna “Siamo aperti a tutte le famiglie” di Ikea, solo per fare alcuni esempi.

È vero, molti brand hanno prodotto pubblicità inclusive come risposta strategica al crescente potere d’acquisto del segmento di mercato Lgbtqia+ e alla sempre maggiore rilevanza delle questioni di genere nel dibattito politico e sociale.

Questo, però, non si è tradotto in un’adeguata visibilità delle persone lesbiche. “Coppia gay”, in pubblicità, sembra far rima quasi sempre con uomini. O, nei casi in cui siano presenti, con un unico modello di donna.

In molti casi, infatti, la rappresentazione è ancora filtrata attraverso il male gaze, lo sguardo del maschio, al maschio dedicato.

Già uno studio della rappresentazione delle lesbiche nelle produzioni televisive statunitensi aveva osservato che molte di queste figure “sono attraenti e femminili e […] sono semplicemente lì per piacere agli spettatori maschi eterosessuali. Altri studi hanno anche scoperto che le lesbiche sono per lo più ritratte come femminili e come impegnate più spesso in comportamenti sessuali rispetto agli uomini gay”.

Le pubblicità non sembrano fanno eccezione a questa regola.

Eppure, lo sappiamo bene, il potere della pubblicità è immenso.

Secondo lo studio dell’associazione Glaad in collaborazione con Procter &GambleLgbtq Inclusion in Advertising and Media”, gli americani non Lgtq che erano stati esposti alle persone Lgbtq nei media avevano maggiori probabilità di accettare le persone Lgtq e supportare le questioni Lgtq rispetto agli intervistati che non erano stati esposti alle persone Lgtq nei media.

Quasi la metà (48%) degli intervistati che erano stati esposti a persone Lgbtqtia+ nei media ha dichiarato di accettare di più le persone gay e lesbiche negli ultimi anni rispetto agli intervistati che non lo erano stati (35%).

Non solo: l’80% ha affermato di essere più favorevole alla parità di diritti per le persone Lgtq rispetto agli intervistati che non avevano visto di recente persone Lgbtq nei media (70%).

Una rappresentazione corretta, libera da stereotipi e mistificazioni, non è solo una questione di rispetto e di attenzione verso le persone queer, ma un mezzo concreto di accettazione e cambiamento: il 72% degli intervistati esposti a persone Lgbtq nei media avevano maggiori probabilità di sentirsi a proprio agio nell’apprendere che un membro della famiglia era Lgbtq, rispetto a quelli che non lo erano (66%), mentre quelli che avevano più probabilità di sentirsi a proprio agio con una nuova famiglia Lgbtq con bambini che si trasferiva nel proprio quartiere erano il 7% in più.

Secondo un sondaggio condotto da Sarah Gomillion e Traci Giuliano, una rappresentazione più vicina alla realtà – in termini di presenza e di caratteristiche – può addirittura aiutare a ridurre il rischio di suicidio tra gli adolescenti Lgtq, secondo cui la rappresentazione stereotipata li faceva sentire esclusi dalla società e limitati nell’espressione della loro identità.

In un altro studio, Bradley Bond ha scoperto che l’esposizione a rappresentazioni positive dei personaggi di questa comunità nei media era associata a minore tristezza e depressione.

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