Diritti

La condizione LGBT+ nelle carceri italiane

Il nuovo rapporto dell’associazione Antigone dedica un intero capitolo al trattamento delle persone omosessuali e transgender in carcere. Tra emarginazione e solitudine
Istantanea tratta dal libro "Encerrados" di Valerio Bispuri, il fotoreporter che ha testimoniato il suo viaggio dentro e fuori 74 carceri del Sudamerica.
Istantanea tratta dal libro "Encerrados" di Valerio Bispuri, il fotoreporter che ha testimoniato il suo viaggio dentro e fuori 74 carceri del Sudamerica. Credit: Valerio Bispuri
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
6 maggio 2022 Aggiornato alle 19:00

È uscito il XVIII rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione nelle carceri italiane. Si chiama “Il carcere visto da dentro” ed è lo sguardo annuale dell’associazione italiana che, dal 1991, si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario.

Un intero capitolo è dedicato alla situazione legata ai diritti LGBT+, tema centrale nel progetto di riforma dell’Ordinamento penitenziario designato dalla Commissione Giostra nel 2015, che però non ha ricevuto l’attenzione sperata. Perché “così com’è, oggi, il carcere non funziona nella sua prospettiva costituzionale”, scrive Antigone. Neanche per le persone omosessuali e transgender detenute.

L’associazione, che racconta il carcere “così come lo abbiamo visto nelle oltre 2.000 visite di monitoraggio effettuato negli ultimi 24 anni (circa 100 solo nel 2021) con numeri, approfondimenti e storie”, ha voluto analizzare come e se viene applicato il principio di non discriminazione verso la differenza sessuale e di genere.

Attraverso le segnalazioni raccolte dal servizio di Gay Help Line nel 2021, il contact center nazionale contro omofobia e transfobia, sono emerse delle testimonianze provenienti direttamente dagli istituti. «Sono molto depresso: non parlo della mia detenzione, ormai mi mancano pochi anni. Il fatto è che non ce la faccio più a comportarmi da etero, come ho fatto in questi otto anni», racconta un anonimo di 37 anni. «In quest’ambiente è impossibile fare coming out», scrive un 46enne, «temo che mi sposterebbero in un reparto come “precauzione”, così perderei il mio lavoro da sarto. Ho già visto persone gay o trans isolate senza fare nulla dalla mattina alla sera e senza poter uscire dalla cella».

Attualmente, secondo i dati aggiornati al 15 febbraio del 2022, i quasi 190 istituti penitenziari italiani accolgono 54.428 detenuti: “posto che l’orientamento sessuale è un aspetto intimo dell’identità degli individui e in quanto tale insondabile in termini di numerosità, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (l’organo che provvede a garantire ordine e sicurezza nelle carceri, ndr) traccia la categoria omosex basandola sulla necessità di allocare in condizioni di sicurezza gli omosessuali maschi, visibili o dichiarati” sottolinea Antigone.

Oggi gli omosessuali registrati sono 64, di cui 57 assegnati a sezioni protette. I restanti sono in isolamento per ragioni protettive, 2 in sezioni comuni e 1 in accoglienza. Dei 64 totali, solo 3 sono impegnati in attività lavorative, ovvero il 5% dei detenuti omosessuali registrati.

Il documento finale del 2016 degli Stati Generali sull’esecuzione penale spiegava che il “destino” delle persone omosessuali all’interno dell’istituzione dipende anche dalla loro decisione di dichiarare, al momento dell’ingresso, il proprio orientamento sessuale”.

Una scelta che produce “precise ricadute: se, da un lato, il detenuto decide di esplicitare il proprio orientamento egli è destinato, difatti, alla condizione di isolamento all’interno della “sezione protetti”; in caso contrario si iscrive, tacendo, in altri percorsi di vita penitenziaria, dopo essere stato collocato nella sezione condivisa”.

Antigone sottolinea che il principio di umanità e quello di solidarietà richiamati dall’articolo 27 della Costituzione sono diventati istanze poi entrate nella legislazione attraverso i decreti legislativi del 2018 (applicativi della legge Orlando) che hanno esteso la tutela dell’art. 3 della Costituzione ai fattori di discriminazione per “sesso, identità di genere e orientamento sessuale”.

“Una trasformazione che oggi si rivela però problematica, perché allarga le dimensioni della differenza, ora anche sessuale, prevedendone la tutela in nome dell’uguaglianza”, dice l’Associazione.

Nei casi di discriminazione all’interno degli istituti - quelli che accolgono persone omosessuali sono solo 20 su 64 -, l’amministrazione penitenziaria dà la priorità al mantenimento della sicurezza interna e sposta il detenuto o la detenuta – dietro consenso dell’interessatə - in un luogo in cui non debba temere attacchi violenti. E dunque lo isola o lo separa dal resto della popolazione carceraria.

Le cosiddette “sezioni protette” sono spazi che precludono la partecipazione alle attività e ai progetti di inserimento lavorativo a cui di norma si accede. Spesso, poi, e questo accade soprattutto nel centro Italia, non tutti gli istituti sono dotati di sezioni separate, e questo comporta l’allontanamento del detenuto anche dai propri affetti.

Un altro dato significativo è quello che riguarda l’omosessualità femminile: non pervenuta. “Se infatti per l’amministrazione penitenziaria l’eterosessualità è la norma, l’omosessualità è “normalmente” questione maschile”, spiega Antigone. Di conseguenza, la presenza di donne lesbiche o bisessuali non riceve alcuna attenzione, e dunque nessuna tutela.

Per non parlare delle persone trans: quelle registrate sono tutte donne, in totale 63: “5 sono assegnate a sezioni promiscue, una è in casa di lavoro, 2 sono in sezione comune femminile, tutte le altre in sezioni protette omogenee”. L’82% sono cittadine non italiane e l’assoluta maggioranza vive lontana dalle reti familiari e relazionali di origine, in un Paese diverso dal proprio.

«Le situazioni più difficili le troviamo dove le donne trans sono collocate in sezioni promiscue insieme ai sex offenders: il loro vissuto di violenza pregressa, spesso legato all’attività come sex worker, le costringe a vivere in una condizione costante di paura», ha spiegato ad Antigone Anna D’Amaro, operatrice sociale dell’Associazione Mit – Movimento identità trans.

L’obiettivo di Antigone è “la realizzazione di un sistema che, disinnescando la paura della differenza sessuale e di genere, rimuova il rischio oggi ancora concreto di emarginazione e di lesione dei diritti individuali”.

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