Futuro

Vaiolo delle scimmie: più di 16 mila casi nel mondo

L’Oms ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria ma in Italia, per ora, la situazione non desta particolare allarme
Credit: Cottonbro/pexels
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25 luglio 2022 Aggiornato alle 19:00

L’Organizzazione mondiale della sanità ha recentemente dichiarato lo stato di emergenza sanitaria per il vaiolo delle scimmie. In particolare, secondo il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, «il rischio di contrarre il monkeypox [vaiolo delle scimmie, ndr] è moderato a livello locale, a esclusione della regione europea dove valutiamo il rischio come alto».

Che cos’è il monkeypox?

Il vaiolo delle scimmie è definito dall’Oms come una zoonosi virale (un virus trasmesso all’uomo dagli animali) con sintomi simili a quelli osservati in passato nei pazienti affetti da vaiolo, sebbene sia clinicamente meno grave. Con l’eradicazione del vaiolo nel 1980 e la successiva cessazione della vaccinazione antivaiolosa, il monkeypox è, a oggi, il più importante orthopoxvirus (virus presenti nei vertebrati di grandi dimensioni).

È incerta la sua storia e sono ancora necessari studi per identificare l’esatto serbatoio (o serbatoi) e il modo in cui la circolazione del virus viene mantenuta in natura. È stato identificato per la prima volta nell’essere umano nel 1970 nella Repubblica Democratica del Congo in un bambino di 9 mesi, in una regione in cui il vaiolo era stato eliminato nel 1968. Da allora, la maggior parte dei casi è stata segnalata nelle regioni rurali e pluviali del bacino del Congo, mentre casi umani sono stati segnalati sempre più spesso in tutta l’Africa centrale e occidentale, zone in cui oggi la malattia è endemica e sempre più frequente anche nelle aree urbane.

Dal 1970, sono stati segnalati casi umani in 11 Paesi africani: dal 2017, la Nigeria ha registrato un’ampia epidemia, con oltre 500 casi sospetti e più di 200 confermati, con un rapporto di mortalità di circa il 3%.

Il primo focolaio di monkeypox al di fuori dell’Africa si è verificato nel 2003 negli Stati Uniti d’America ed è stato collegato al contatto con cani da prateria infetti: gli animali domestici erano stati ospitati insieme a ratti e ghiri del Gambia, importati dal Ghana, e si registrarono 70 casi.

Il vaiolo delle scimmie non è quindi una patologia “nuova”, nonostante se ne sia sentito parlare poco fino a qualche mese fa: ma è stato segnalato anche in viaggiatori provenienti dalla Nigeria e diretti in Israele nel settembre 2018, nel Regno Unito nel settembre 2018, dicembre 2019, maggio 2021 e maggio 2022, a Singapore nel maggio 2019 e negli Stati Uniti d’America nel luglio e novembre 2021.

L’allarme è arrivato a maggio di quest’anno, quando sono stati registrati casi multipli in diversi Paesi non endemici: sono attualmente in corso studi per comprendere meglio l’epidemiologia, le fonti di infezione e i modelli di trasmissione dell’attuale epidemia.

Sintomi e trasmissione

Il monkeypox ha una sintomatologia da lieve a media: provoca eruzioni cutanee, solitamente nelle zone anali e perianali, con macchie rosse che poi si ingrandiscono, spesso infettandosi; alcuni pazienti hanno anche riscontrato febbre e dolori sparsi al corpo. I sintomi compaiono in genere tra i 6 e i 13 giorni dal contagio, possono durare da due a quattro settimane e i casi gravi sono più frequenti tra i bambini.

La trasmissione da animale a essere umano (zoonosi) avviene per contatto diretto con sangue, fluidi corporei o lesioni cutanee o mucose di animali infetti. Il “serbatoio” naturale del vaiolo delle scimmie non è ancora stato identificato, e si pensa che in realtà siano i roditori la fonte principale. La trasmissione da persona a persona, invece, può avvenire per contatto ravvicinato con secrezioni respiratorie, lesioni cutanee di una persona infetta, mentre il contagio attraverso la saliva ne richiede uno prolungato di tipo faccia a faccia. Sebbene vi sia ancora un dibattito tra gli scienziati su come classificare la trasmissibilità, pare che il rapporto sessuale sia uno dei principali motori dell’attuale diffusione del virus.

Si pensa che la crescita dei casi, anche in paesi in cui il monkeypox non è una malattia endemica, si sia verificata perché la catena di trasmissione più lunga documentata in una comunità è aumentata negli ultimi anni da 6 a 9 infezioni successive da persona a persona: questo dato potrebbe riflettere il calo dell’immunità in tutte le comunità a causa della cessazione della vaccinazione antivaiolosa.

Stigma e tracciabilità

Quest’anno la maggior parte dei casi si è verificata in giovani uomini, molti dei quali hanno detto di avere rapporti sessuali con altri uomini. «La maggioranza ha presentato lesioni sui genitali o sull’area peri-genitale, indicando che la trasmissione avviene probabilmente durante lo stretto contatto fisico durante le attività sessuali», ha dichiarato a maggio il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie. Ma l’associazione di una malattia a una categoria già fortemente stigmatizzata ha contribuito a rafforzarne l’isolamento sociale.

La comunità scientifica rifiuta ormai da decenni di associare una patologia a una determinata condotta sessuale (basti pensare alle campagne di prevenzione dell’AIDS negli anni ‘80). Questa narrazione profondamente discriminatoria aveva a che fare con una sorta di responsabilità morale degli individui che mettevano in atto quella condotta. Oggi, tuttavia, l’opinione pubblica non sempre recepisce le informazioni e i dati scientifici in maniera neutrale, ma spesso tende a dargli un significato arbitrario.

La dichiarazione di emergenza globale sanitaria dell’Oms, arrivata secondo alcuni con troppo anticipo rispetto ai pochi casi, ci dice senza dubbio che questa è un’epidemia che riguarda tutti e i governi dovranno agire prontamente per predisporre misure di prevenzione e contrasto, al di là dei pregiudizi sulle categorie statisticamente più colpite.

Oltre alla questione della discriminazione, il dato per cui il monkeypox è una patologia che colpisce prevalentemente gli uomini che hanno rapporti con altri uomini disincentiva le persone a sottoporsi ai test e ai controlli. Il risultato: i casi risultano fortemente sottostimati, con conseguente scarsità di linee guida condivise dall’intera comunità scientifica.

I vaccini

Molti Paesi hanno già cominciato una campagna vaccinale per contrastare il vaiolo delle scimmie; altri, come l’Italia, non si sono ancora mobilitati in questa direzione. Il C.D.C.(Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie degli Stati Uniti) afferma che «non esiste un trattamento sicuro e comprovato» ma, nonostante ciò, la Food and Drug Administration ha approvato l’uso di vaccini antivaiolosi e di trattamenti antivirali per controllare i focolai.

Mentre l’epidemia di Monkeypox cresce, i vaccini per contrastare la patologia scarseggiano. Fortunatamente, la comunità scientifica ha elaborato una strategia che potrebbe far raddoppiare le persone vaccinate: utilizzare una singola iniezione invece delle due raccomandate. Dati convincenti provenienti da studi sulle scimmie e sull’essere umano suggeriscono che una singola dose del vaccino protegge in modo solido dal vaiolo delle scimmie e che la seconda dose serve principalmente a prolungare la durata della protezione.

Il Regno Unito, la Germania e il Canada stanno offrendo il vaccino a tutti coloro che sono considerati ad alto rischio di infezione (per ora si tratta principalmente di uomini che hanno rapporti sessuali con uomini che hanno più partner). Gli Stati Uniti lo hanno inizialmente limitato ai contatti dei casi confermati, compresi gli operatori sanitari, ma il 28 giugno hanno iniziato a somministrarlo anche alle persone ad alto rischio di infezione che hanno avuto una presunta esposizione.

Il Regno Unito sta già somministrando alle persone una sola dose per ora, avvisando che potrebbe essere necessaria una seconda in caso di rischio. Alcuni funzionari della sanità pubblica e scienziati affermano che il tempo è essenziale per una campagna di vaccinazione più ampia tra le persone ad alto rischio, qualora i Paesi sperino di evitare che l’epidemia sfugga di mano e che il virus si stabilisca al di fuori delle aree in cui è già endemico.

Anche l’amministratore delegato di Bavarian Nordic (azienda biotecnologica specializzata nello sviluppo di vaccini), l’immunologo Paul Chaplin, sostiene il piano di vaccinazione a dose singola. Gli studi hanno dimostrato che le risposte immunitarie innescate da una singola dose di vaccino MVA diminuiscono dopo 2 anni, motivo per cui il programma vaccinale approvato prevede una seconda dose. Ma Chaplin afferma che la memoria immunitaria è così forte dopo una singola dose che un richiamo somministrato 2 anni dopo porta alla stessa risposta del programma standard. Secondo Chaplin, se i Paesi decidono di utilizzare ora la dose singola, hanno un lungo periodo di tempo per aggiungere il richiamo e ottenere comunque i benefici in termini di durata. «Ci sono molti dati a sostegno del vaccino singolo», afferma Chaplin.

I casi oggi

Il monkeypox, in genere, non causa grandi epidemie: nella maggior parte degli anni si sono registrate poche centinaia di casi al di fuori dei Paesi in cui è una malattia endemica, anche se quella di quest’anno sembra essere una situazione più preoccupante rispetto al passato.

Oggi, 25 luglio, l’epidemia globale ha raggiunto e superato i 16.000 casi, tra cui 5 decessi, ha dichiarato il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus. Sebbene l’epidemia sia fortemente concentrata in Europa, i cinque decessi sono stati segnalati in nazioni africane. Alcuni Paesi stanno iniziando a registrare un calo dei casi e una situazione stazionaria, ma questa settimana sono stati sei i Paesi a segnalare i primi casi.

Lo stato che finora ha registrato più casi è il Regno Unito, arrivato a quota 2137: l’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Paese ha dichiarato di aver ordinato altre 100.000 dosi di vaccino contro il vaiolo delle scimmie della Bavarian Nordic, oltre alle 30.000 che il Sistema Sanitario Nazionale aveva precedentemente procurato. Inoltre, il Regno Unito ha diffuso una guida per la prevenzione del monkeypox, affermando che i contatti stretti dovrebbero evitare rapporti sessuali, baci e abbracci fino al termine dei 21 giorni.

In Italia, per ora, la situazione non desta particolare allarme e si sono registrate poche centinaia di casi (407), senza episodi di sintomi gravi, anche se pare che i casi siano sottostimati. Considerata la dichiarazione di emergenza globale e l’importanza delle attività di tracciamento, il direttore della prevenzione generale del Ministero della Salute, Giovanni Rezza, ha già predisposto le modalità di segnalazione dei casi, in accordo con Regioni e Province Autonome.

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