Ambiente

Giustizia climatica per le isole del Pacifico

Responsabili solo dello 0,03% delle emissioni globali di gas serra, questi piccoli territori chiedono una pronuncia della Corte di Giustizia internazionale sui possibili obblighi legali dei Paesi inquinanti
Alcune persone di Tuvalu durante una sessione di pesca tradizionale. Una delle prime vittime del cambiamento climatico e dell'aumento delle temperature oceaniche è la decimazione per gli stock ittici.
Alcune persone di Tuvalu durante una sessione di pesca tradizionale. Una delle prime vittime del cambiamento climatico e dell'aumento delle temperature oceaniche è la decimazione per gli stock ittici. Credit: EPA/MICK TSIKAS AUSTRALIA AND NEW ZEALAND OUT
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19 luglio 2022 Aggiornato alle 09:00

Dal cuore del Pacifico arriva l’ennesimo grido d’allarme relativo al clima. Nei giorni scorsi alle Fiji i leader delle principali nazioni insulari del Pacifico si sono riuniti per il PIF, il Pacific Island Forum: un momento di confronto strategico sia per affrontare la crisi legata all’emergenza climatica sia per discutere il futuro geopolitico della regione.

Nonostante i tentativi di ingerenze legati a interessi commerciali e militari da parte di Usa e Cina, potenze che oggi sono tornate a guardare al Pacifico con grande interesse, i governatori delle nazioni insulari hanno cercato di concentrare impegni e intenti sulla questione climatica che, a partire dall’innalzamento del livello del mare, in quella zona del Pianeta è sempre più preoccupante.

Tra le decisioni prese c’è stata l’importante richiesta avanzata dalle isole del Pacifico alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aia: i leader hanno chiesto alla Corte di pronunciarsi sugli obblighi legali dei vari Paesi (soprattutto quelli inquinanti) per fermare la crisi climatica. Si tratta di un appello congiunto per chiarire quali siano gli obblighi degli stati «di proteggere i diritti delle generazioni presenti e future dagli impatti negativi dei cambiamenti climatici».

In sostanza, attraverso questa mossa sperano che vengano introdotti livelli maggiori di rischi legali per i Paesi che continuano a incrementare le emissioni, le quali poi ricadono spesso sui Paesi più fragili ed esposti alla crisi, esattamente come quelli del Pacifico per cui il surriscaldamento è una «minaccia esistenziale», hanno detto.

L’iniziativa di portare la questione all’Aia è nata nel 2019 da parte di alcuni studenti, tra cui Vishal Prasad, 26 anni, universitario delle Fiji, il quale ha ricordato che anche «un parere consultivo e non vincolante della Corte internazionale di giustizia avrebbe comunque impatti di ampia portata». Sarebbe un modo infatti per «mettere in guardia gli inquinatori».

Un sistema di cui è convinto anche il ministro degli Esteri di Tuvalu, quel Simon Kofe che in passato si è mostrato con l’acqua alle ginocchia e un leggio in mezzo al mare, tanto per far capire quanto sta crescendo e impattando il livello del mare nel Pacifico. Per lui l’iniziativa della Corte di Giustizia è «coerente con i nostri sforzi per proteggere la nostra gente che è colpita dai cambiamenti climatici».

Allo stesso tempo, decisivo sarà anche lo sforzo che Australia (grande esportatore di carbone) e Nuova Zelanda dovranno intraprendere secondo i Paesi insulari nella battaglia contro la crisi climatica: anche a loro le tante realtà del Pacifico hanno chiesto uno sforzo maggiore verso le emissioni zero.

Oggi i piccoli stati insulari del Pacifico sono responsabili solo dello 0,03% delle emissioni globali di gas serra, ma stanno affrontando in modo sproporzionato molte minacce legate al cambiamento climatico, motivo per il quale per loro è ormai più che necessario che i Paesi economicamente più sviluppati e inquinanti si assumano al più presto le loro responsabilità su quanto sta accadendo.

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