Ambiente

La vecchia storia delle piccole isole sostenibili

Le isole minori italiane “green” sono state a lungo un miraggio. Ma per 13 di loro, adesso, si apre un finanziamento di 200 milioni di euro del MiTe
L'isola di Salina, alle Eolie, in Sicilia.
L'isola di Salina, alle Eolie, in Sicilia. Credit: Maia Crimew/Unsplash
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12 maggio 2022 Aggiornato alle 09:00

Quando si tratta di tematiche legate ad ambiente e sostenibilità la sensazione di vivere un dejà vu non è cosa rara. I tempi a volte lunghissimi nell’attuazione di politiche e azioni che appaiono logiche e fattibili da subito e il ripetersi di annunci dilazionati nel tempo producono una reazione del genere “ma non l’ho già sentita questa storia?”.

Quello delle isole minori italiane – due terzi delle quali non sono connesse alla rete elettrica nazionale – è un caso paradigmatico da questo punto di vista. Se esistono delle tecnologie mature che permetterebbero di produrre energia localmente e in modo sostenibile, quantomeno da una prospettiva ambientale, perché ancora oggi nonostante qualche passo avanti la produzione di elettricità nelle isole minori è sostanzialmente basata su impianti che funzionano a gasolio, che oltretutto bisogna far arrivare dal “continente”?

Puntare sulle rinnovabili sembrerebbe puro buon senso, eppure tutto questo per ora rimane in buona parte un miraggio, come testimoniano i dati raccolti da Legambiente e CNR nell’ultima edizione del Rapporto Isole Sostenibili.

Lo scorso 4 maggio però il Ministero per la Transizione Ecologica ha annunciato l’esito del bando “Isole Verdi: con il PNRR e i fondi di Next Generation Europe sembra infatti essere arrivata una svolta per le cosiddette “isole minori” del nostro Paese, o perlomeno per i 13 comuni – Isola del Giglio, Capraia, Ponza, Ventotene, le Tremiti, Ustica e Pantelleria, i tre comuni dell’Isola di Salina, di Favignana, Lampedusa e Lipari – che entro il 22 aprile scorso hanno presentato i progetti per 140 interventi da realizzare nel quadro del bando.

La posta in gioco è di 200 milioni di euro, che serviranno principalmente a finanziare interventi per l’energia rinnovabile e le risorse idriche. In misura minore per efficienza energetica, gestione dei rifiuti, mobilità sostenibile.

Ma allora, da dove arriva questa sensazione di dejà vu? Succede perché di sviluppare sistemi per l’autosufficienza e la sostenibilità energetica nelle isole minori italiane si parla da molto tempo, tant’è che il primo provvedimento in materia risale addirittura al 22 dicembre del 2000.

Nell’analisi di Legambiente i motivi di un procedere così lento si sintetizzano in tre elementi: scarsa conoscenza delle opportunità e dei vantaggi anche economici che questi interventi darebbero ai cittadini, difficoltà di accesso al credito in un momento di difficoltà dell’economia in generale e buon ultimo, ma sempre ricorrente, la complessità delle procedure autorizzative per i vincoli esistenti su quei territori e i divieti da parte delle soprintendenze.

E divieto è il termine che viene usato anche da altre fonti, divieto che riguarda in particolare gli impianti per l’energia eolica, sui quali vige di fatto un totale ostracismo. Solo piccole quote di micro-eolico risultano essere presenti a Pantelleria, Ventotene e Sant’Antioco.

Chi conosce la storia di un’idea perfino affascinante come quella delle isole green ed energeticamente autosufficienti testimonia che il problema c’era 22 anni fa e rimane immutato oggi. Alla faccia delle tante buone ragioni a favore di queste tecnologie.

Per la produzione in loco dell’energia elettrica l’alternativa è quindi il solare fotovoltaico, sui tetti o a terra, e qui si pongono problemi di altra natura.

Per accedere ai bandi gli edifici devono essere correttamente accatastati e per il privato evidentemente la situazione non è così limpida. Per una verifica basta guardare i dati sulla distribuzione dei fenomeni di abusivismo edilizio nel territorio nazionale, come conferma Antonio Pergolizzi, curatore per Legambiente del rapporto annuale sull’Ecomafia. Mentre gli edifici pubblici costituiscono un patrimonio troppo limitato per poter dare un contributo significativo alla produzione di energia da FV.

Per il fotovoltaico a terra i problemi sono nuovamente legati a vincoli paesaggistici o di protezione della natura e, di conseguenza, di disponibilità di spazio.

Inoltre, attualmente il maggior sviluppo di impianti FV si registra nelle isole già interconnesse con la rete elettrica, Ischia, Elba e Sant’Antioco. Dove ce ne sarebbe maggior bisogno i dati sono invece spesso bassissimi, come alle Tremiti o a Salina.

Qualche sviluppo si registra nella promozione della mobilità elettrica, di cui è un esempio il progetto per il car-to-grid a Favignana.

In uno scenario del genere Capraia vanta il risultato di un completo abbandono della produzione di energia elettrica da fonti fossili grazie a un impianto a biodiesel, seppure anche questo combustibile sia importato. Ma con il progetto Capraia Smart Island, l’isola sembra voler seguire l’esempio di El Hierro, nelle Canarie, dove l’obiettivo dell’autosufficienza energetica è già stato raggiunto e le strategie di sviluppo sostenibile si estendono a tutti gli ambiti, dal turismo all’agricoltura. E dove però l’eolico è ben presente nel mix di tecnologie utilizzate.

Tornando all’Italia, rispetto ai bandi del passato i 200 milioni di euro di “Isole Verdi” sono una dotazione di risorse importante. Rimane da vedere se e quanto le problematiche che fino a oggi hanno rallentato lo sviluppo agiranno ancora da freno.

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