Ambiente

La Nuova Zelanda tassa i rutti (dei ruminanti)

Nel Paese, circa la metà delle emissioni derivano dagli allevamenti. Da qui la decisione di tassare, a partire dal 2025, gli allevatori e fornire incentivi per azioni di contenimento dei livelli di metano
Credit: Claudio Schwarz/Unsplash
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11 giugno 2022 Aggiornato alle 17:00

Dopo l’iniziativa inglese di creare una mascherina per neutralizzare il metano dovuto alle eruttazioni dei bovini, idea premiata al concorso Terra Carta Design Lab indetto dalla Royal College of Art in UK, la Nuova Zelanda ha deciso di introdurre, a partire dal 2025, una vera e propria tassa per le emissioni prodotte dagli allevatori.

In questo modo il Paese, all’estremo Sud-Est del mondo, diventerà il primo a impegnarsi in questa impresa.

Alla conferenza ambientale COP26 dello scorso anno a Glasgow, gli Stati Uniti e l’Ue hanno stabilito come obiettivo comune quello di ridurre le emissioni del gas del 30% entro il 2030. Non è un caso se tra gli oltre 100 Paesi che hanno aderito al proposito ci fosse anche la Nuova Zelanda.

Sulle distese neozelandesi pascolano ogni giorno circa 10 milioni di vacche e 26 milioni di pecore: quasi il 50% delle emissioni totali di gas serra registrate nello Stato dipendono dal settore agricolo.

Il piano pensato dal governo nazionale prevede anche alcuni incentivi per gli agricoltori e gli allevatori in grado di ridurre le emissioni grazie all’impiego di additivi nei mangimi, rendendo meno inquinanti per l’ambiente le feci degli animali. Come riporta la BBC, il ministro delle finanze ha impegnato 2,9 miliardi di dollari neozelandesi per iniziative legate alla lotta al cambiamento climatico.

Il metano è il secondo gas serra più comune dopo l’anidride carbonica ed è responsabile di un terzo del riscaldamento causato dalle attività umane. Circa il 40% proviene da zone particolarmente umide come paludi e acquitrini, ma il restante 60% deriva da attività umane, tra cui ovviamente l’agricoltura e l’allevamento del bestiame.

Nel 2019, la quantità prodotta di questo gas ha raggiunto livelli record, doppiando gli standard dell’era preindustriale.

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