Diritti

Roma: il piano qual è?

Ancora una volta, la politica sottovaluta la necessità di una comunicazione chiara con i cittadini. Elettori e non.
L'incendio che ha colpito l'area romana di Pineta Sacchetti e Monte Mario, lo scorso 4 luglio
L'incendio che ha colpito l'area romana di Pineta Sacchetti e Monte Mario, lo scorso 4 luglio Credit: ANSA / Massimo Percossi
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13 luglio 2022 Aggiornato alle 06:30

In linguistica c’è un tipo di discorso che è detto “fàtico”: appartengono a questa categoria i saluti, i “Come stai?”, i convenevoli, e in generale tutto quello che viene prima del discorso vero e proprio. La monnezza di Roma, o meglio, parlare della monnezza di Roma è diventato quella cosa lì, discorso fàtico.

I romani parlano della monnezza come gli inglesi parlano del tempo, è parte della vita quotidiana, una sorta di inevitabilità che si aggiunge ad altri disagi che sembrano inevitabili, le buche, i mezzi pubblici scarsi e inaffidabili, e ora – almeno nella zona del Pigneto e di Tor Pignattara – le voragini causate dalle perdite d’acqua nel sottosuolo.

Ogni tanto un pezzo di strada frana, e si sta mesi, se non anni, con la strada chiusa e il cantiere fermo, senza che sia dato sapere come e quando saranno chiusi i lavori.

Parlare dei disagi di Roma fa tanto Milano, me ne rendo conto, ma lasciate che lo faccia da figlia adottiva e non per lamentarmene, ma per segnalare un problema che va ben oltre quello contingente, oltre la monnezza e i mezzi e anche oltre gli incendi che riempiono l’aria di diossina.

C’è un’idea di politica che resiste contro ogni evidenza della sua inefficacia e fragilità, ed è quella della figura dell’amministratore bravo e competente che arriva e risolve tutto, ma non gli fate domande perché comunicare è una perdita di tempo.

In generale, che l’Italia abbia un problema gigante con la comunicazione politica è cosa nota: l’avevo già detto in un pezzo che è stato purtroppo superato dagli eventi (il giorno dopo, Putin avrebbe invaso l’Ucraina e a me è passata la voglia di fare le battute) e ci ritorno oggi perché se c’è una cosa peggiore di una città invasa dai rifiuti con 40 C° e incendi dappertutto è una città con tutti quei problemi e un’amministrazione che rifiuta di comunicare con chiarezza il suo piano per risolvere il problema.

Roberto Gualtieri e la sua giunta hanno preso in mano una città in gravissima difficoltà, molto più grave di quella affrontata da Virginia Raggi, che poteva contare sulle poche cose fatte da Ignazio Marino durante il suo breve mandato.

Ma proprio come Marino, anche Gualtieri sta sottovalutando la necessità di stabilire un contatto costruttivo, aperto e costante con i romani, una popolazione capace di sopportare i disagi con enorme stoicismo, ma che mal tollera la sensazione di avere votato per l’ennesima volta il meno peggio.

Il fatto che fosse molto meno peggio non ci consola, e il credito concesso a Gualtieri – bravissima persona di specchiata reputazione – sta per esaurirsi, a meno di un cambio radicale di rotta nel modo in cui viene gestito il rapporto con la cittadinanza.

No, non ci basta sentir parlare ogni giorno del “termovalorizzatore”, che poi è un inceneritore (ne abbiamo parlato molto, qui su La Svolta, dando spazio a diverse posizioni). Quello arriverà, ormai è deciso, ma nel frattempo?

Si parla tanto di riciclo, di recupero dei materiali, di economia circolare: sono passati mesi dall’insediamento e il grande pubblico non ha ancora visto l’ombra di un piano.

Con tempi, scadenze, criticità, previsioni. Un piano comunicato regolarmente, a mezzo stampa e social, sul progetto per la città; un piano di cui si possano verificare i progressi e le scadenze, che può essere rivisto e corretto, ma non celato.

Lo scopo è chiaro: coinvolgere i cittadini in un modo che non sia spedirli a pulire i parchi e pitturare le panchine perché ci si è dimenticati di fare i bandi per la manutenzione del verde pubblico. Coinvolgere significa stabilire un contatto, creare una dimensione di dialogo che non è scarico di responsabilità, ma trasparenza e apertura.

Siamo nei guai: cosa state facendo per uscirne? Cosa dovremo fare noi? Cosa possiamo fare? Cosa succede nei singoli Municipi, come possiamo partecipare, cosa dobbiamo aspettarci?

La relazione fra politici e cittadini è sempre una relazione sbilanciata, in cui gli eletti godono di un margine di discrezionalità che spesso si scontra con i desideri proiettati su di loro dagli elettori e con l’ostilità di chi ha votato per la parte avversa.

Comunicare bene, spesso e con chiarezza è un modo per rendere questo rapporto meno sbilanciato, più equo, un modo per riconoscere che un patto di fiducia non si basa sulla cecità.

Gualtieri non è l’unico colpevole: la mentalità da secolo scorso per cui non si parla al conducente neanche quando non è chiaro dove stia andando e come e quando pensi di arrivarci è molto diffusa, ed è, appunto, figlia di un modo di fare politica che ha fatto il suo tempo, e che non può più funzionare nell’epoca in cui tutto può essere discusso sulla pubblica piazza senza dover richiedere il permesso per una manifestazione o andare in un circolo.

La conversazione sui fatti del giorno, sui problemi e le criticità ma anche sul futuro è sempre in corso, e chi vuole consolidare un progetto che duri un decennio non può pensare di prescindere da questo aspetto.

È l’ora del dialogo, anzi, l’ora del dialogo era ieri.

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