Futuro

La concretezza delle illusioni digitali

Il valore finanziario delle aziende digitali è spesso fondato sulle aspettative di una loro crescita infinita. Che non è possibile. La conseguenza è evidente…
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21 aprile 2022 Aggiornato alle 06:30

Il caso di Sina Estavi è istruttivo. L’imprenditore aveva comprato il primo tweet di Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, per 3 milioni di dollari e ha tentato di rivenderlo per 48 milioni, solo per scoprire che la migliore offerta che poteva trovare era 7mila dollari. Non è soltanto un esempio di business sbagliato. È l’interruzione di una tendenza che per qualche mese era apparsa inarrestabile. Una nuova tecnologia aveva reso possibile vendere online la versione digitale di qualsiasi cosa e per un po’ di tempo aveva conquistato una notevole attenzione: il sistema dei “non fungible token” (NFT) usa la blockchain per rendere unici e non replicabili degli insiemi di software e dati che rappesentano non solo denaro ma qualsiasi genere di proprietà intellettuale. In pratica è una macchina che rende raro un bene che di per sé si potrebbe copiare facilmente. Ma, come ha dovuto scoprire Estavi, la scarsità di un bene non garantisce che il suo prezzo sia elevato: anche una proprietà unica al mondo non costa nulla, se nessuno la vuole.

Questa esperienza è generalizzabile. Molti fenomeni conoscono un’accelerazione nel contesto digitale. Compresa la velocità con la quale si costruisce e si distrugge una bolla di entusiasmo intorno a una nuova tecnologia. Il caso di Sina Estavi è stato usato come una puntura di spillo per far scoppiare la bolla costituita dall’insieme di tecnologie che legano la blockchain, le cryptovalute, la proprietà intellettuale e il metaverso. Interesserà forse anche chi ha comprato opere d’arte in versione digitale o chi si è procurato le meno che indispensabili scarpe firmate da qualche centinaio di euro per girare con eleganza anche nel metaverso. In sei mesi il racconto del nuovo mondo virtuale che doveva servire a creare una nuova economia, alimentato in primo luogo dalle pubbliche relazioni di Facebook diventata per l’occasione Meta e sostenuto dall’incessante attività speculativa del mondo delle cryptovalute, si è sgonfiato. Come peraltro aveva previsto la società di ricerche Gartner che, tra l’altro, cura una rappresentazione grafica dello “hype cycle”, il ciclo dell’entusiasmo intorno alle tecnologie.

Se non fosse accaduto tutto così in fretta non ci sarebbe niente di nuovo. Invece, una novità c’è: i professionisti dello hype ora si trovano di fronte i professionisti dello scetticismo che sanno cogliere immediatamente una finestra attraverso la quale far mostra delle loro idee controcorrente.

Ma questo cambiamento genera conseguenze. Da un lato, contrapponendo un eccesso a un altro, non si alza il livello del discernimento sull’importanza delle novità tecnologiche. Dall’altro lato, mette in discussione un classico elemento dell’ideologia digitale: l’abitudine a proiettare linearmente nel futuro i risultati raggiunti dalle tecnologie, che confonde le speranze con le analisi. È una tipica illusione ottica che caratterizza molte previsioni in questo mondo: questa illusione proietta nel prossimo futuro, amplificandolo, l’impatto delle novità, e alimenta valori finanziari sovradimensionati sulla base della convinzione che la crescita di una tecnologia sia destinata a proseguire all’infinito. A questo proposito, gli esempi non mancano. Il valore finanziario di Facebook e Netflix è crollato quando le due società hanno annunciato che la crescita dei sottoscrittori si era arrestata: non hanno perso capitalizzazione perché il fatturato o i sottoscrittori erano diminuiti, ma per la fine delle aspettative di crescita. Quell’illusione ottica, in quei casi, vale complessivamente centinaia di miliardi di dollari.

Un approccio più sano collega il valore finanziario e il valore d’uso. È una saggia regola, tornata di moda all’epoca della bolla delle dot-com e che non cessa di essere dimenticata. Nel bene e nel male. La credibilità delle aspettative di crescita nel digitale è particolarmente pericolosa, in effetti. Ma parallelamente, è pericolosa anche la predisposizione dei conservatori a rinnegare qualsiasi innovazione sulla scorta delle delusioni, peraltro, inevitabili quando le aspettative sono impossibili. Chi ha pensato che internet avesse esaurito il suo ciclo innovativo dopo la fine della bolla delle dot-com, nel marzo del 2000, ha perso di vista il fatto che proprio mentre il valore finanziario crollava, il valore d’uso cominciava a crescere in modo straordinario, con un panorama di utenti che passava rapidamente da alcune decine di milioni ad alcuni miliardi. Il valore d’uso è un concetto da rivalutare, in effetti, per discernere gli andamenti speculativi da quelli concreti. Eswar Prasad, autore di “The future of money”, osserva: «Il bitcoin non ha altro valore se non la sua scarsità. Ethereum è una piattaforma che oltre a offrire una cryptovaluta consente di usare la blockchain per molte altre attività, il che ne garantisce un valore d’uso che sostiene il valore finanziario. Nel caso del bitcoin questo elemento manca. Il che rende quella moneta molto più speculativa». Non vale solo per le cryptovalute.

Se ci si rende conto di tutto questo, alcune tradizionali strategie finanziarie del mondo digitale vengono meno. È stata l’Ibm a inventare l’”effetto annuncio” nel mondo dell’elettronica, quando dichiarò al mercato delle aziende, che in generale erano sue clienti, che avrebbe prodotto computer: il mercato si arrestò, gli altri produttori subirono una crisi di domanda, in attesa dei prodotti di Big Blue. Quell’annuncio ebbe un effetto duraturo. Facebook, in piena crisi di immagine, è stata rinominata Meta contemporaneamente all’annuncio dell’impegno nel metaverso dell’azienda fondata da Mark Zuckerberg. Per qualche settimana, si è formata una bolla di attenzione intorno all’interpretazione zuckerberghiana del concetto di metaverso che ha sovrastato la comunicazione delle aziende che da tempo operano in quel settore. Però la durata dell’”effetto annuncio” si è accorciata rispetto ai tempi dell’Ibm. E questo indica che il pubblico sta maturando. Le informazioni che arrivano dalle società di tecnologia appaiono sempre più decodificabili.

Una possibilità è che alla fine si arrivi a un mercato con valori finanziari meno speculativi. In quel caso, il grande potere dei giganti attuali sarebbe contenuto. Si avvierebbe un ciclo di investimenti orientato a sostenersi con il fatturato e con il valore d’uso generato effettivamente dalle tecnologie. Potrebbe essere parte della strategia europea di rilancio in questo settore. Di certo, è la condizione che da sempre hanno vissuto le imprese digitali italiane. Se ne potrebbe fare una visione generale. Sulla scorta dell’esperienza: le illusioni servono a lanciare il cuore oltre l’ostacolo, ma più sono alte, più sono rovinose le delusioni. La speculazione americana è riuscita a passare il cerino al resto del mondo più volte nel corso del XXI secolo. Sarebbe tempo di imparare che si può seguire una strada diversa, almeno da questa parte dell’Atlantico.

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