Ambiente

Gli scimpanzé muoiono per i nostri raffreddori

I virus che gli esseri umani trasmettono agli animali possono essere letali, soprattutto per le specie a rischio estinzione, rappresentando una minaccia persino peggiore della perdita di habitat o del bracconaggio
Credit: Arjun  

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7 maggio 2024 Aggiornato alle 08:00

Una splendida e timida signora si affaccia titubante davanti a migliaia di spettatori dal palco del Concertone del Primo Maggio al Circo Massimo di Roma. È Jane Goodall e ha trascorso gran parte dei suoi 90 anni di vita fra gli scimpanzé, sicuramente immersa nella natura. Il suo discorso parla di Tarzan, di scimmie che prima di dormire sembrano quasi cantare, di speranza, futuro e ambiente.

Il suo esempio “ispirante” per i giovani è ancora più importante in un momento in cui proprio gli scimpanzé e i gorilla, già a rischio estinzione, sono in grosse difficoltà. Stanno morendo a causa degli stessi virus che negli esseri umani provocano semplicemente il comune raffreddore e che si stanno diffondendo sempre più, forse per via del turismo.

Secondo gli esperti, per gli animali, questa tipologia di nemico è più devastante della perdita di habitat e persino del bracconaggio, come ha dimostrato un recente studio pubblicato su Nature all’inizio di quest’anno.

Un campanello d’allarme risuona in particolare, come ha riportato anche The Guardian, tra gli oltre 200 esemplari che per settimane nel parco nazionale di Kibale, in Uganda, hanno letteralmente tossito e starnutito, fino a stare molto male, cominciando a morire.

L’epidemiologo dell’University of Wisconsin-Madison Tony Goldberg, attento studioso della fauna selvatica americana, ha analizzato insieme a un team i resti di una femmina adulta del peso di 45 chilogrammi.

L’autopsia ha portato alla luce un accumulo di liquido nella cavità toracica e intorno al cuore, mettendo inoltre in evidenza un tessuto polmonare di colore rosso scuro, consolidato e marcato da lesioni. Sono i segnali della presenza di una sorta di polmonite.

Il colpevole sarebbe quindi il metapneumovirus umano (Hmpv), un gruppo di virus che è responsabile proprio del comune raffreddore nelle persone e che è capace di scatenare pericolose epidemie tra gli scimpanzé.

Per l’esattezza questo fenomeno si chiama zoonosi inversa, colpisce diverse specie in tutto il mondo e consiste nella possibilità che gli animali contraggano malattie dagli esseri umani: si va dalle cozze contaminate dal virus dell’epatite A alla tubercolosi trasmessa agli elefanti asiatici. Ma le grandi scimmie sono più soggette a gravi conseguenze per la loro vicinanza evolutiva agli uomini.

È stata proprio Jane Goodall a registrare i primi casi di zoonosi inverse nelle grandi scimmie. Gli scimpanzé hanno raffreddore e tosse “abbastanza spesso” e “possono contrarre le stesse malattie contagiose degli esseri umani”: la primatologa britannica l’ha scritto addirittura nel 1986.

La prova definitiva che gli scimpanzé vengono infettati dall’uomo è arrivata poi nel 2008 quando Fabian Leendertz, direttore dell’Istituto Helmholtz for One Health a Greifswald in Germania, insieme al suo staff ha utilizzato strumenti molecolari per dimostrare che i virus umani erano alla base di un decennio di gravi epidemie di malattie respiratorie negli scimpanzé nel parco nazionale di Taï in Costa d’Avorio.

«Le popolazioni di grandi scimmie non possono permettersi questo tipo di perdite - ha dichiarato Goldberg - Le loro popolazioni sono già così piccole, frammentate e in declino che non hanno la capacità di riprendersi o adattarsi».

In teoria i gruppi turistici nei parchi dovrebbero essere di dimensioni limitate, i visitatori dovrebbero indossare mascherine sul viso, le persone dovrebbero restare ad almeno sette metri di distanza dagli animali e, se non si sentono bene, dovrebbero evitare di partecipare alle escursioni. Il problema è che questi regolamenti non vengono rispettati.

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