Culture

“La Canzone della Terra”: una dichiarazione d’amore alla Norvegia

Nel documentario autobiografico, la regista Margreth Olin mostra come sia possibile riconnettersi con la natura grazie al rapporto con il padre
Frame da "La Canzone della Terra"
Frame da "La Canzone della Terra"
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22 aprile 2024 Aggiornato alle 20:00

La Canzone della Terra è stata definita come una “maestosa sinfonia per il grande schermo” da cui lasciarsi avvolgere, sia se pensiamo alle immagini (con la suggestiva fotografia curata da Lars Erlend Tubaas Øymo, coadiuvato da numerosi fotografi naturalisti accreditati e droni) che ai suoni. La regista, Margreth Olin, sceglie di tornare nella valle di Oldedalen (nella parte occidentale della Norvegia) con suo padre e questo diventa sia un modo per trascorrere del tempo con lui che un’opportunità per entrare in contatto con quell’ambiente che tanto ha fatto parte della vita e della storia d’amore dei suoi genitori.

Molti di noi conoscono i fiordi norvegesi attraverso foto che vengono pubblicate sui social, per esempio, ma in questo documentario è come se vibrassero di vita e, talvolta, urlassero. «Ci vorrà un anno», le ha detto suo padre ed effettivamente questo è il tempo impiegato per capire meglio lui e la terra che la circonda e che l’ha accolta venendo al mondo. Lui, Jørgen Mykløen, ha 84 anni e Margreth, sua figlia, sa che è lei a doversi avvicinare a lui: per questo filma il trascorrere del tempo e delle stagioni facendosi guidare dallo sguardo del padre.

Ci si ritrova con gli occhi sgranati (ancor più per chi non c’è mai stato) nelle maestose vallate norvegesi, dove i ghiacciai si stanno ritirando e sono più evidenti gli effetti del cambiamento climatico. Lui ha potuto vedere, toccare, vivere quando tutti gli elementi erano in armonia e adesso assiste, con dolore, al mutamento.

«Mio padre è un sognatore. Nella sua valle, possiamo osservare quanto il cambiamento climatico stia intaccando la natura. In 25 anni, gli estremi del ghiacciaio si sono ritirati di circa 800 metri. Mio padre ci porta in montagna, sul ghiacciaio, nella foresta, a stretto contatto con la fauna che abita questi spazi incontaminati. La natura prende il sopravvento, e riusciamo davvero a comprendere cosa ha provato lui per anni durante le innumerevoli escursioni in montagna», ha spiegato la regista che ci rende partecipi di qualcosa di profondamente personale e, allo stesso tempo, universale.

Durante il viaggio capiamo come suo padre, dopo una paralisi di due anni, abbia re-imparato a camminare e questo lo ha portato a cercare il contatto con quella che è la sua casa (la parola “ecologia” deriva da oikos, che significa appunto “casa”). «Se non cammini velocemente e ti guardi attorno, avrai la sensazione che siamo piccoli in un mondo grande», dice Jørgen Mykløen alla figlia, la quale grazie all’obiettivo della macchina da presa ci fa davvero sentire piccoli come un puntino. Eppure dentro di noi sappiamo quanta responsabilità possiamo avere nei confronti dei cambiamenti.

Olin ci offre senza dubbio uno sguardo documentaristico da cui traspare il (ri)trovato amore per la sua terra declinata nei paesaggi e nella relazione, in particolar modo, col padre: dallo schermo ci arriva un vortice di emozioni senza mai scadere nel sentimentalismo.

Questo lavoro è un invito a entrare in ascolto del suono dei ruscelli, a porsi in osservazione e cogliere ogni segnale che la natura vuole e può comunicare. Senza togliere il piacere della visione, è molto significativo il momento in cui Jørgen Mykløen pianta un nuovo seme accanto allalbero che suo nonno depose 130 anni prima.

«Ne La Canzone della Terra, Margreth Olin ci ricorda, in modo unico, chi siamo e perché esistiamo. Il linguaggio cinematografico è poetico, peculiare e ricco. Sono fiera di far parte di questo team», ha dichiarato Liv Ullmann, produttrice esecutiva insieme a Wim Wenders.

La regista rilancia: «La sua generazione (riferendosi a quella del padre, ndr) è davvero lultima ad avere la consapevolezza di come ci stiamo prendendo cura della natura? La soluzione potrebbe essere semplicemente ripristinare la connessione con noi stessi? Se vogliamo che la nostra specie sopravviva, dobbiamo restare in ascolto del canto della terra» e farne tesoro.

In quest’ottica, sono importanti, fondamentali e necessarie le parole di Pierluigi Sassi, presidente Earth Day Italia (sede italiana dell’Earth Day Network di Washington, l’Ong che promuove la Giornata mondiale della Terra): «Purtroppo da almeno due decenni gli ecosistemi del pianeta, in crisi per l’inesorabile opera di distruzione messa in atto da un’umanità miope, sono diventati il soggetto della trama, la premessa della storia, lo scenario di una lotta contro il tempo in cui il protagonista deve salvare il mondo da un antagonista che non è altro che lui stesso. Questo film però apre alla speranza. Perché racconta la sua storia sottolineando quello che è un cardine della nostra battaglia per la salvaguardia del Pianeta: la collaborazione e il dialogo tra le generazioni che, siamo convinti, sia la chiave per vincere le sfide climatiche e ambientali. Un necessario passaggio di esperienze, conoscenze, amore per la natura e le sue stagioni che padri e madri devono testimoniare a figli e figlie».

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