Ambiente

Cause climatiche: pensionati, bambini e genitori al centro per spingere gli Stati ad agire

Sempre più climate litigation usano strumenti legali per ottenere la riduzione delle emissioni. Dopo il caso delle Anziane per il clima ora in Corea è attesa la sentenza che vede bimbi e neonati tra i ricorrenti
Credit: Andrew Yurkiv 

 

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15 aprile 2024 Aggiornato alle 19:00

Una lenta arma concreta. Sette anni fa nel mondo si contavano appena 800 contenziosi aperti, nei vari tribunali, su questioni climatiche. Oggi quella cifra è praticamente triplicata con oltre 2200 cause internazionali.

Questi strumenti legali - definiti come climate litigation - attraverso le quali Ong, associazioni, gruppi di cittadini e di attivisti fanno causa a stati o grandi compagnie dell’“Oil & Gas” per ottenere giustizia climatica, spesso intesa come necessità di agire per ridurre il livello di emissioni e di quella crisi del clima che impatta sulla vita delle persone - stanno diventando sempre più importanti per ottenere risposte laddove la politica arranca.

L’esempio più significativo - dopo quello del 2019 in cui l’Ong olandese Urgenda ha vinto contro il governo ottenendo un obbligo della riduzione di emissioni di gas serra del 25% rispetto ai livelli del 1990 - è il successo incassato dalle “anziane per il clima” pochi giorni fa in Svizzera.

Un gruppo di oltre 2.500 donne, tutte tra i 64 e i 91 anni, dopo otto anni di tentativi ha ottenuto infatti uno storico verdetto da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha indicato la necessità che la Svizzera - paese che sta operando secondo la Corte in maniera insufficiente per ridurre le emissioni - acceleri nelle sue politiche climatiche.

Questa vittoria indica tre aspetti chiave: in primis che le climate litigation possono essere uno strumento efficace, quando gli stati non rispettano a esempio gli Accordi di Parigi o le tempistiche di riduzione delle emissioni, per fare pressione e obbligarli a cambiare rotta.

In secondo luogo ci mostrano come la battaglia climatica sia sempre più transgenerazionale: non solo una questione di Greta e dei giovani attivisti per il clima, ma anche un problema che interessa le generazioni più anziane, tra l’altro fra le più colpite (e soprattutto tra le donne) dalla crisi del clima.

Infine però ci ricorda purtroppo anche altro: mentre gli scienziati ci spiegano l’urgenza di agire immediatamente, per esempio nel dire addio all’uso delle fonti fossili, queste cause hanno spesso bisogno di tempi lunghi prima di arrivare a una possibile sentenza (di fatto era dal 2016 che le Anziane per il clima inseguivano un tale risultato).

Detto ciò, con il verdetto svizzero sembra che una nuova e incoraggiante “stagione” delle climate litigation sia ripartita quest’anno con il piede giusto.

Seppur la stessa Corte europea per i diritti dell’Uomo (Cedu) abbia recentemente respinto due altri casi di giustizia climatica, altrove nuove cause stanno per arrivare a verdetto.

Un esempio è la sentenza attesa tra circa una settimana in Corea del Sud dove il 23 aprile la Corte costituzionale dovrà esprimersi addirittura su un ricorso legale che conta, fra i ricorrenti, dei bimbi di appena due anni.

Chiamato anche Baby climate case il caso vede coinvolti bimbi che non erano nemmeno ancora nati all’apertura del procedimento: si tratta di una causa presentata a nome di 62 neonati e bambini piccoli circa due anni fa. Nel 2022 genitori e future mamme avevano infatti avviato un percorso per chiedere alla Corea un maggiore impegno nella riduzione delle emissioni e nel contrasto alla crisi del clima.

Alcune mamme coreane hanno raccontato infatti le loro preoccupazioni per figli il cui futuro è già compromesso, così come il presente: d’estate, durante le ondate di calore, per molti di loro è impossibile giocare all’aria aperta.

Per le mamme coreane potrebbe arrivare un responso positivo sulla scia sia del verdetto svizzero sia di una sentenza, emessa dalla Corte suprema indiana di recente, che ha stabilito per esempio come una ambiente sano e pulito sia un “diritto fondamentale”, una decisione che affianca l’indicazione dei produttori di energia eolica e solare i quali sostenevano l’esistenza di un obbligo costituzionale relativo alla riduzione delle emissioni.

Casi come quello indiano, olandese e svizzero, sono tutti importanti “precedenti” che in un mondo in cui molte cause climatiche vengono respinte o giudicate come inammissibili (come a esempio quella italiana nota come Giudizio Universale) tengono comunque vive le speranze di cambiamento da parte dei cittadini.

Per Adam Weiss di ClientEarth negli ultimi tempi “c’è una massa critica di vittoria” con una “forza morale” capace di aumentare le possibilità di successo per le azioni legali sul clima. Sentenze che «non lasciano dubbi sul fatto che la crisi climatica sia una crisi dei diritti umani», ha ricordato anche Joie Chowdhury, avvocato del Center for International Environmental Law.

Per Dennis van Berkel, co-fondatore del Climate Litigation Network «l’unica ragione di tutti questi contenziosi è che i politici non stanno facendo il loro lavoro. I tribunali devono intervenire per dire ai politici: questo è quello che avete promesso, questo è il vostro lavoro e dovete portarlo a termine».

Nonostante siano in aumento sia i contenziosi sia le vittorie, resta però un problema concreto di “tempi”, spesso troppo lunghi, così come di “obblighi” dato che non tutte le sentenze risultano poi vincolanti per gli Stati o per le compagnie dell’Oil & Gas.

Per esempio la Shell, che fu condannata nel 2021 a ridurre le sue emissioni entro il 2030, è ancora in appello e il contenzioso continua. “Il sistema legale non è stato certamente progettato pensando all’emergenza climatica”, ha commentato a tal proposito ClientEarth al Financial Times.

Tra nuove cause che iniziano e un mare di procedimenti arenati tra lungaggini e burocrazia, c’è però una urgenza dettata dai fatti: le temperature elevate e le ondate di calore, così come i fenomeni meteo sempre più intensi per via della crisi climatica, in tutto il mondo stanno mostrando con maggiore chiarezza il volto drammatico del nuovo clima e l’urgenza di lavorare per mantenere le temperature globali sotto i +1,5 °C rispetto al periodo pre industriale. Una urgenza evidente che da sola dovrebbe spingere Stati e aziende, prima ancora di essere chiamati in causa o in attesa di sentenza, a muoversi con rapidità per tentare di arginare i danni (anche economici) legati al surriscaldamento globale.

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