Economia

Transizione energetica: i giacimenti di gas e petrolio aumentano

Secondo il Global Energy Monitor, i produttori del settore Oil&Gas continuano a sfruttare i combustibili fossili, mentre la paura per l’approvvigionamento energetico spinge Cina e India a investire nel carbone
Credit: Kotkoa  

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4 aprile 2024 Aggiornato alle 07:00

Sono passati già 4 mesi da quando i 198 Paesi della Cop28 di Dubai hanno posto la propria firma al Global Stocktake, un impegno condiviso all’unanimità per ridurre gradualmente i combustibili fossili fino a eliminarne del tutto l’utilizzo entro il 2050, triplicando contestualmente la capacità di energia rinnovabile entro i prossimi 6 anni. Obiettivi del tutto in linea con quanto richiesto dall’Accordo di Parigi, che chiede ai firmatari lo sforzo massimo per raggiungere le zero emissioni entro il 2050, ma che rischia di essere compromesso dall’incessante ricorso alle fonti di energia più inquinanti.

In base a quanto riportato dal Global Energy Monitor, organizzazione non governativa statunitense che studia e analizza le infrastrutture e gli utilizzi di energia nel mondo, parecchi produttori di petrolio e gas stanno andando nella direzione opposta, dando il via libera allo «sfruttamento dell’equivalente di tutte le riserve di greggio accertate in Europa» con l’intento di quadruplicarne l’importo entro la fine del decennio. Sono già venti i giacimenti di petrolio e gas vicini all’autorizzazione definitiva, equiparabili all’estrazione di ben 8 miliardi di barili di petrolio, pronti a salire fino a 31,2 entro il 2030 grazie all’apertura di 64 nuovi giacimenti.

Nel mirino delle esplorazioni ci sono paesi come Sud America e Africa, così come zone insospettabili quali Cipro, Guyana, Namibia e Zimbabwe, pari a circa il 37% del totale dei volumi che i produttori sperano di sfruttare. In totale, negli ultimi due anni ben 50 nuovi progetti Oil&Gas sono stati presentati ufficialmente pari a 20,3 miliardi di barili, nonostante l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) avesse ribadito in un ultimatum del 2021 la pericolosità di nuovi giacimenti per la stabilità climatica del pianeta.

Contrariamente a quanto promesso dai Paesi, dunque, la produzione di combustibili fossili non accennerà a diminuire. Così come non si ferma la corsa al carbone, le cui emissioni provenienti dalla combustione rappresentano il 44% del totale mondiale innalzandolo a causa trainante dell’innalzamento della temperatura globale. Non a caso l’India, terzo emettitore mondiale di gas a effetto serra (con emissioni di CO2 pari a 3,5 miliardi di tonnellate) continua a utilizzarlo per la produzione del 70% della propria energia elettrica, mentre in Cina la Repubblica popolare ha approvato i permessi rivolti a 82 siti per la produzione di carbone con una capacità di 106 gigawatt, quattro volte più grande di quella approvata nel 2021.

Una spinta dettata dall’esigenza di proteggere il fabbisogno energetico dei miliardi di abitanti contro le possibili chiusure dei rubinetti russi provocate dalla guerra in Ucraina, ma con tremende conseguenze sullo stato della transizione energetica, il cui avanzamento non riesce a tenere il passo delle fonti più inquinanti. Secondo la roadmap per l’azzeramento delle emissioni nette di CO2 predisposto dalla Iea per raggiungere tutti gli obiettivi climatici il consumo di petrolio e gas dovrebbe scendere del 23% e 18% entro la fine del decennio, per poi crollare di oltre il 75% nel 2050.

Secondo l’Agenzia, il piano per contenere a 1,5 gradi l’aumento delle temperature globali richiederebbe investimenti per 4500 miliardi di dollari l’anno. Molti più degli utili accumulati dalle principali compagnie Oil&Gas del mondo (Bp, Shell, Chevron, ExxonMobil e TotalEnergies) nell’ultimo biennio, pari a oltre 281 miliardi di euro - come emerge da un’indagine dell’Ong Global Witness - pagando agli azionisti dividendi per 111 miliardi nel solo 2023, decisamente di più rispetto ai 104 miliardi distribuiti l’anno precedente.

Che il mondo fosse fuori rotta per il raggiungimento corretto di tutti gli ambiziosi obiettivi stabiliti a livello internazionale non è certo una novità, ma il fatto che il ricorso alle fonti fossili non faccia altro che aumentare dimostra ancora una volta l’inefficacia delle attuali politiche green poste dagli Stati più influenti per dirottare gli investimenti verso progetti più sostenibili e meno impattanti, mettendo a serio rischio il percorso verso la transizione.

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