Diritti

Zelensky non è un simbolo di Pace. La donna mai diventata madre, sì

La proposta di candidare il leader ucraino e il suo popolo al più nobile dei Nobel è un atto di grande solidarietà. Secondo l’avvocata, però, non rappresentano un ideale universale di Pace tanto quanto la donna ferita all’ospedale di Mariupol. È del suo sacrificio che deve rimanere memoria
L'omino Lego che raffigura il Presidente ucraino Zelensky, venduto per beneficenza.
L'omino Lego che raffigura il Presidente ucraino Zelensky, venduto per beneficenza.
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21 marzo 2022 Aggiornato alle 08:00

La recente proposta di alcuni politici europei di candidare al Premio Nobel per la Pace il leader Volodymyr Zelensky ed il popolo ucraino per il coraggio dimostrato in queste orrende settimane di guerra nel contrastare l’assurda invasione decisa da Vladimir Putin induce alcune riflessioni sulla portata simbolica del più prestigioso riconoscimento internazionale.

Nel 2021 furono due giornalisti, il russo Dmitry Muratov e Maria Ressa, filippina, a essere scelti dalla giuria che motivava la scelta sulla base “dei loro sforzi per salvaguardare la libertà di espressione, precondizione per la democrazia e per una pace duratura”, parole che oggi fanno rabbrividire per la loro rinnovata urgenza.

Resta la forza di quelle motivazioni se pensiamo agli arresti dei numerosi manifestanti russi che in queste settimane scendono in piazza per dimostrare il dissenso contro la guerra e vengono arrestati, alla chiusura degli organi di informazione e connessioni internet in Russia, alla coraggiosa giornalista Marina Ovsyannikova arrestata per aver mostrato un cartello contro la guerra in Ucraina durante la diretta televisiva del canale Russia 1; al sacrificio della vita della giornalista russa Anna Politkovskaja morta in circostanze mai accertate e probabilmente legate alle inchieste che stava conducendo sulla violazione dei diritti umani dei civili ceceni.

Dal 1901, anno di fondazione, a oggi sono stati insigniti del Premio Nobel per la Pace, 108 persone, tra cui 17 donne, il più alto numero rispetto a ogni altro Premio Nobel a ulteriore testimonianza della vocazione alla pace delle donne rispetto agli uomini e 24 organizzazioni diverse. Tra le personalità politiche troviamo Theodore Roosevelt, Martin Luther King, Yasser Arafat, Kofi Annan, Al Gore e Rajendra Pachauri, Ellen Johnson Sirleaf, Willy Brandt, Tenzin Gyatso XVI (il Dalai Lama), per citarne alcuni. Solo a scrivere i loro nomi vengono i brividi e si rappresentano nella mente pezzi di storia che hanno cambiato il corso dell’umanità.

Il premier ucraino e il suo popolo di donne e di bambini che fuggono o vengono uccisi prima di riuscire a scappare dalla guerra e gli uomini ucraini, giovani e meno giovani, che fino a poche settimane fa avevano un orizzonte di vita totalmente diverso, e che oggi sono costretti a separarsi dai loro affetti per imbracciare le armi a difesa non solo dei luoghi, ma anche di una cultura democratica che appartiene a una parte considerevole dell’umanità, sono tutto ciò che siamo anche noi e che saremmo se avessimo dovuto vivere la stessa tragedia da un giorno all’altro.

La Pace, pax, pacis indica proprio “la situazione contraria allo stato di guerra, garantita dal rispetto dell’idea di interdipendenza nei rapporti internazionali, e caratterizzata, all’interno di uno stesso stato, dal normale e fruttuoso svolgimento della vita politica, economica, sociale e culturale” ed è per questo che pur riconoscendo la forza incredibile di Zelensky e la resistenza coraggiosa dei fratelli e delle sorelle ucraini è necessario non farsi trascinare dall’onda delle emozioni, pur giuste, nell’individuare un simbolo di Pace universale che quel Premio riconosce.

La donna incinta soccorsa dopo il bombardamento russo che ha colpito il reparto di maternità dell’ospedale di Mariupol, nel sudest dell’Ucraina, ritratta in una foto sulla barella e deceduta insieme al suo bambino mai nato sono il più cruento e ingiusto crimine che la guerra possa produrre e al contempo il più alto simbolo della Pace. La donna era stata trasportata d’urgenza in un altro ospedale dopo l’attacco russo ed era stata fotografata, distesa su una barella, mentre cingeva il suo grembo insanguinato. È a questa giovane madre, mai diventata madre perché uccisa barbaramente e incomprensibilmente, è al bambino che portava in grembo, mai nato perché ucciso incolpevolmente dai ciechi bombardamenti russi, che il Comitato per il Nobel norvegese, l’unico non svolto in Svezia, dovrebbe assegnare il Premio 2022 per la Pace.

La nascita di un essere umano è il vero miracolo che appartiene all’intera umanità, di cui ne garantisce la sopravvivenza. È il più alto e inarrivabile gesto di pace di cui gli esseri umani siano capaci, è il più potente riconoscimento della vita. L’immagine di quella donna, del sangue nelle sue mani a protezione del suo bambino in grembo, dell’espressione del suo volto, ricordata anche da Papa Francesco merita di essere ricordata come portatrice di pace nel 2022 affinché quell’insopportabile sacrificio non resti senza memoria.

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