Diritti

Emergency: in un anno la Life Support ha salvato 1.219 persone

Il nuovo report Non restare a guardare ripercorre le 15 missioni svolte e le 24 operazioni di salvataggio condotte in acque internazionali nel 2023 dalla nave dell’associazione italiana fondata nel 1994 da Gino Strada
Credit: Zani/Pasquale Bove  

Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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25 marzo 2024 Aggiornato alle 12:00

Nel pomeriggio del 16 marzo l’equipaggio della Life Support ha ricevuto la segnalazione di una barca in difficoltà in zona SAR maltese. Dopo 3 ore di ricerca, le 71 persone a bordo sono state soccorse, accolte, visitate. Altri 4 giorni di navigazione e la nave di Emergency ha finalmente raggiunto il porto di Ravenna, quello assegnato dalle autorità italiane per lo sbarco, lasciando toccare terra ai migranti salvati nel Mediterraneo centrale. Questa è solo l’ultima delle operazioni di soccorso che la Life Support ha compiuto da quando, per la prima volta, è salpata dal porto di Genova: era il 13 dicembre 2022.

Le missioni compiute nel primo anno di attività sono state raccolte da Emergency nel rapporto Non restare a guardare: un anno di soccorsi in mare della Life Support.

La Life Support ha salvato 1.219 persone, portando a termine 24 operazioni di soccorso in acque internazionali: 8 nella zona SAR libica e 16 nella zona SAR maltese. Nel suo primo anno di attività ha effettuato 15 missioni, di cui una senza soccorsi, percorrendo quasi 40.000 km (pari alla circonferenza della Terra) e navigando per 105 giorni nelle acque del Mediterraneo. Il report vuole documentare “la vita a bordo dal punto di vista dello staff sanitario e non sanitario, dell’equipaggio e delle persone soccorse”, spiegano dal supply vessel, una nave adibita a servizi speciali.

Dei 1.219 naufraghi soccorsi dalla nave di Emergency tra dicembre 2022 e dicembre 2023, 846 erano uomini, 216 minori non accompagnati, 101 donne (di cui 7 incinte) e 56 minori accompagnati.

«Vengo dall’Africa sub-sahariana, sono partito per colpa della guerra e dei conflitti continui nella mia regione», ha raccontato all’equipaggio A., 25 anni, partito dalla Costa d’Avorio e soccorso a novembre 2023. Era finito a lavorare in una miniera d’oro nel deserto vicino al confine con la Libia, in condizioni di schiavitù, quando dei libici armati l’hanno portato via e rinchiuso in una prigione da cui poteva uscire solo pagando un riscatto. «Io non avevo soldi e nessun familiare o amico da contattare», ha detto. È riuscito a uscirne solo perché è stato venduto a un agricoltore libico che l’ha portato nella sua fattoria a guardare i suoi animali, senza pagarlo. Altri libici, poi, l’hanno prelevato e gli hanno promesso di portarlo in Europa. «Poi ho visto su che barca avrei dovuto attraversare il mare: un piccolo gommone sovraccarico e senza protezioni. Ho avuto molta paura, mi hanno costretto a salire con le armi». Le imbarcazioni soccorse da Life Support erano fatte nella maggior parte dei casi di legno (9), poi di lamiera, gomma e vetroresina (5).

La testimonianza di A. è di quelle raccolte dall’equipaggio della Life Support nel suo primo anno di navigazione. N., 28 anni, originaria della Siria, è stata soccorsa ad agosto 2023 insieme al figlio di 7 mesi. «Alcune volte, mentre eravamo in Libia, ho pensato di tornare indietro. Vivevamo in condizioni igieniche pessime, soprattutto per un bambino così piccolo, che ha bisogno di attenzioni continue. Ma l’unica possibilità che avevamo per dargli una vita migliore era dall’altra parte del mare», ha raccontato. Per partire dalla Siria, dov’è rimasto suo marito a a prendersi cura dei genitori, hanno dovuto vendere la casa di famiglia. «Ora, raggiunta la terraferma, spero di riuscire ad arrivare in Germania, ho un fratello che vive lì da diversi anni».

Per F., 26 anni, dell’Egitto, anche la vista della Life Support è stata un trauma: «Avevo paura che fossero i libici. Stavo per buttarmi in mare, avrei preferito morire annegato piuttosto che tornare in carcere in Libia. Ancora non riesco a credere di essere stato portato in salvo». Racconti simili arrivano anche dalla Tunisia, dove la situazione per i migranti è “drammatica”: Y., 27 anni, del Camerun, ha trovato «discriminazioni, violenze, mancanza di rispetto dei più basilari diritti». Il 2023 ha registrato un aumento dei flussi migratori via mare rispetto agli ultimi anni: la rotta tunisina ha sorpassato quella libica e circa 259.4041 persone sono arrivate in Italia, Grecia, Spagna, Cipro e Malta via mare. Dalla Tunisia, secondo i dati dell’Unhcr, si contano 97.306 arrivi via mare, dalla Libia 52.034. Le nazioni di origine dichiarate al momento dello sbarco sono state Guinea, Tunisia, Costa d’Avorio e Bangladesh.

Da quando è entrato in vigore il cosiddetto “Decreto Piantedosi”, che regola il transito e la sosta nelle acque territoriali delle navi non governative impegnate nelle operazioni di soccorso in mare, “è stata introdotta una sistematica prassi di assegnazione alle navi delle Ong di porti molto distanti dalle aree in cui viene effettuata l’operazione di soccorso”, spiega il rapporto di Emergency. Questa pratica ha portato l’equipaggio a percorrere in media 630 miglia nautiche, impiegando 3,5 giorni di navigazione a missione.

I viaggi per arrivare ai porti e tornare nel Mediterraneo hanno comportato 56 giorni di navigazione in più rispetto a un porto nel Sud Italia, “allontanando le navi dalle zone SAR, sottraendo tempo prezioso alle attività di ricerca e soccorso”. Per i naufraghi che si trovavano in mezzo al Mediterraneo in attesa di qualcuno che li salvasse, questo si è tradotto in 28 giorni in più. Alcuni migranti, però, non sono riusciti a ricevere alcun soccorso: secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, nel 2023, nel Mediterraneo, ci sono stati 3.105 casi di naufraghi dispersi o morti in quella che è la rotta migratoria più pericolosa del mondo.

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