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Crisi Mar Rosso: chi sono gli Houthi e qual è il loro ruolo nel conflitto israelo-palestinese?

Il gruppo armato yemenita, da sempre nemico di Israele e Usa, ostacola il passaggio delle navi mercantili internazionali tra la costa dello Yemen e quella del Gibuti: una regione che ospita circa il 12% del traffico marittimo mondiale
Credit: EPA/YAHYA ARHAB 
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2 aprile 2024 Aggiornato alle 14:00

Il conflitto israelo-palestinese, dal punto di vista geopolitico e sociale, è probabilmente uno dei più complessi e delicati della storia contemporanea: tutto ebbe inizio nel 1947, quando le Nazioni Unite votarono per la spartizione del mandato della Palestina in due Stati, uno ebraico e uno arabo che, però, non decollò. Le tensioni sembrarono assopirsi nel 1948, con la dichiarazione d’indipendenza dello Stato di Israele, ma la storia ha voluto che questa data segnasse soltanto un ulteriore punto di inasprimento delle ostilità.

La situazione è peggiorata sempre di più negli anni, raggiungendo un punto di non ritorno nel 2006, con la vittoria alle elezioni di Hamas, il partito radicale islamista. Da allora, Israele impose un embargo totale sull’enclave, esercitando un controllo dello spazio aereo e delle acque territoriali che portò al collasso dell’economia palestinese.

Da una parte, i Governi occidentali hanno sostenuto la soluzione dei due Stati, mentre Netanyahu, il primo ministro israeliano, ha chiaramente espresso la sua opposizione alla costituzione di uno Stato palestinese, sostenendo l’annessione totale o parziale della Cisgiordania.

Il 7 ottobre 2023, le milizie di Hamas, uscendo dalla Striscia di Gaza, hanno attaccato Israele; da dicembre, però, gli orizzonti del conflitto si sono ampliati, aprendo un “fronte” parallelo sul Mar Rosso.

Alla fine del 2023, gli Houthi, un gruppo politico e militare sciita-zayadita dello Yemen, vicino a Hamas, ha iniziato a rallentare e bloccare le navi mercantili dirette in Israele, come forma di ritorsione contro i bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza. Ma qual è il ruolo degli Houthi nel conflitto israelo-palestinese?

Da sempre opposto a Israele e agli Stati Uniti, nel contesto della coalizione dei Paesi arabi il gruppo si è unito all’Iran per sostenere il popolo palestinese. Alla fine dello scorso anno, il leader Mohammed Abdul Salam ha annunciato il loro coinvolgimento nel conflitto, in collaborazione con Hamas e l’asse della resistenza guidato dall’Iran.

Da allora, gli Houthi detengono il controllo dei traffici marittimi che risalgono dallo Stretto di Bab el-Mandeb verso il Mar Rosso, tra la costa dello Yemen e quella del Gibuti, rotta vitale con circa il 12% del traffico marittimo mondiale che transita attraverso questa zona. Di conseguenza, le navi mercantili sono costrette a circumnavigare l’Africa, passando per il Capo di Buona Speranza, aggiungendo circa 3.000 miglia nautiche al percorso, che corrispondono a oltre 5.500 chilometri in più.

Per il movimento yemenita, la guerriglia nel Mar Rosso ha un significato politico e simbolico di enorme valore: con le loro azioni, intimano Israele a porre fine alle ostilità contro Gaza e al blocco dell’enclave palestinese. Ma, essendo che lo stretto di Bab el-Mandeb, che separa lo Yemen dall’Africa orientale e conduce verso nord verso il Mar Rosso e il Canale di Suez, è appunto uno dei choke points (“collo di bottiglia”) più cruciali delle rotte internazionali, insieme agli Stretti di Hormuz e Malacca, le conseguenze si ripercuotono a livello globale.

Gli effetti della crisi nel Mar Rosso

Se inizialmente gli attacchi sembravano mirati alle navi legate a Israele, è diventato presto evidente che gli obiettivi sono stati scelti in modo del tutto indiscriminato, mettendo a rischio qualsiasi nave in transito, tanto che le grandi compagnie di container-shipping mondiali hanno annunciato una sospensione a tempo indeterminato del transito nello Stretto di Bab el-Mandeb.

L’allungamento della rotta per evitare la zona, poi, ha un forte impatto di carattere economico: secondo le analisi della società Xeneta riportate dal Financial Times, le tariffe per l’imbarco standard da 12 metri circa sulla rotta Shanghai-Rotterdam sono più che raddoppiate, salendo da 1.400 a 3.100 dollari da metà dicembre. Ancora, secondo le stime della società di analisi Braemar, il viaggio di una petroliera dal Medio Oriente all’Europa, con un carico di diesel da 85 milioni di dollari, arriva a costare 5 milioni di dollari, quasi 2 milioni in più rispetto al periodo precedente gli attacchi.

Per l’Italia e per gli altri Paesi del Mediterraneo, il blocco del Canale di Suez significa una riconsiderazione della centralità del Mar Mediterraneo, che sulla nuova rotta attraverso il Capo di Buona Speranza smette di essere un passaggio obbligato. Un cambiamento, questo, che penalizza gli hub portuali, portando a un aumento dei prezzi finali.

Focalizzandoci sull’Italia, in base agli ultimi dati disponibili, il commercio (import + export) con i Paesi direttamente o indirettamente influenzati dalla crisi nel Mar Rosso ammonta a 161,7 miliardi di euro, rappresentando il 12,6% del totale del commercio estero del nostro Paese. Di questi, 110 miliardi di euro (e dunque il 68% circa) riguardano le importazioni, mentre le esportazioni riguardano il restante 32% (pari a 51,7 miliardi di euro). Il che, si traduce in un impatto negativo sull’importazione delle merci, con una possibile dilatazione dei costi.

Più nello specifico, Lombardia e Veneto emergono come la realtà più a rischio: la Lombardia registra circa 30,4 miliardi di euro di importazioni dai Paesi coinvolti, mentre il Veneto si avvicina ai 17 miliardi. Seguono Emilia-Romagna, con 9,3 miliardi, e il Lazio, con 7,4 miliardi.

Che cos’è Aspides?

In questo scenario, il 19 febbraio i ministri degli Esteri dei Paesi dell’Unione europea hanno approvato una nuova missione per ripristinare la sicurezza marittima nel Mar Rosso e nella parte settentrionale dell’Oceano Indiano.

La missione, denominata Aspides, durerà 12 mesi e il suo obiettivo è quello di proteggere e tutelare le navi commerciali in transito nella regione. E, come ogni azione militare, include l’autorizzazione ad aprire il fuoco contro presunti attacchi in acque internazionali.

Questo impegno dell’Unione europea segue altre iniziative già in corso nell’area: poco dopo l’inizio della crisi nel Medio Oriente, gli Stati Uniti hanno creato una task force navale con diversi Paesi, la Prosperity Guardian, che, a differenza della missione europea, consente di attaccare il territorio yemenita.

Parallelamente, è attiva anche la European Maritime Awareess, operativa dal gennaio 2020 tra l’Oceano Indiano e il Golfo Perisco, coinvolgendo Belgio, Danimarca, Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia e Portogallo. Infine, un’altra importante iniziativa è la Combined Maritime Force, una partnership marittima che coinvolge 41 Paesi.

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