Diritti

Onu: “L’Iran è responsabile della violenza fisica che ha portato alla morte di Mahsa Amini”

Il rapporto presentato al Consiglio per i diritti umani sostiene che “la violenta repressione delle proteste pacifiche e la diffusa discriminazione istituzionale contro donne e ragazze hanno portato a gravi violazioni dei diritti umani, molte delle quali costituiscono crimini contro l’umanità”
Credit: Onur Dogman/SOPA Images via ZUMA Press Wire
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
11 marzo 2024 Aggiornato alle 11:00

L’Iran è “responsabile della violenza fisica che ha portato alla morte di Mahsa Amini”.

A due anni dalla morte sotto custodia della 22enne curda, arrestata dalla polizia morale per la presunta inosservanza delle norme iraniane sul velo islamico, il rapporto della Missione d’inchiesta internazionale indipendente sull’Iran muove per la prima volta delle accuse contro il Paese.

“Invece di indagare su questa morte illegale in modo tempestivo, efficace e approfondito – come richiesto dal diritto internazionale sui diritti umani – il governo ha attivamente offuscato la verità e ha negato giustizia”, riporta il documento diffuso l’8 marzo, nella Giornata Internazionale dei diritti della Donna.

L’Iran ha sempre negato di essere responsabile della morte o del pestaggio di Amini.

Le autorità hanno dato la colpa a una condizione medica che la donna avrebbe avuto fin dall’infanzia dopo un intervento chirurgico. Tuttavia, il rapporto presentato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha respinto questa come causa della sua morte: la commissione “ha stabilito l’esistenza di prove di traumi al corpo di Amini, inflitti mentre era in custodia della polizia morale”.

La commissione è convinta, “sulla base delle prove e dei modelli di violenza da parte della polizia morale nell’applicazione dell’hijab obbligatorio sulle donne”, che “Amini sia stata sottoposta a violenza fisica che l’ha portata alla morte”. Il rapporto, però, non accusa nessuno nello specifico.

La commissione ritiene che “le violazioni e i crimini ai sensi del diritto internazionale commessi nel contesto delle proteste ‘Donna, Vita, Libertà’ iniziate il 16 settembre 2022 includono uccisioni e omicidi extragiudiziali e illegali, uso non necessario e sproporzionato della forza, privazione arbitraria della libertà, tortura, stupro, sparizioni forzate e persecuzione di genere”.

Inoltre, il rapporto ha fatto riferimento anche ad Armita Garavand, la ragazza morta nel 2023 dopo quella che gli attivisti ritengono sia stata un’aggressione da parte della polizia morale perché non indossava il velo: “Con azioni che ricordano il caso di Amini, le autorità statali hanno adottato misure per offuscare le circostanze che hanno portato alla morte di Garavand”. E ha citato anche la “sospetta ondata di avvelenamenti contro studentesse iraniane”.

La repressione delle proteste pacifiche e la discriminazione istituzionale contro donne e ragazze “hanno portato a gravi violazioni dei diritti umani da parte del regime iraniano, molte delle quali costituiscono crimini contro l’umanità”, ha sottolineato il rapporto.

Le violenze “hanno avuto un impatto sproporzionato su donne, bambini e membri di minoranze etniche e religiose”, fondendo così persecuzione di genere e discriminazione sulla base dell’etnia e della religione.

Le autorità della Repubblica islamica dell’Iran “hanno quindi mobilitato l’intero apparato di sicurezza dello Stato per reprimere i manifestanti scesi in piazza dopo la morte di Amini”.

Secondo i dati citati dalle Nazioni Unite, almeno 551 manifestanti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza, tra cui almeno 49 donne e 68 bambini. La maggior parte degli attacchi mortali sono stati perpetrati con armi da fuoco, compresi fucili d’assalto.

“Le forze di sicurezza hanno represso le proteste attraverso una serie di arresti arbitrari, anche di persone che semplicemente ballavano, cantavano, scrivevano slogan sui muri, suonavano i clacson o postavano sui social media a sostegno delle loro richieste, anche per i diritti delle donne, l’uguaglianza e la responsabilità”, spiega il rapporto.

Molti sarebbero poi stati “bendati e portati via a bordo di veicoli non contrassegnati, comprese le ambulanze”, e centinaia di bambini, anche sotto i 10 anni, sarebbero stati “arrestati e separati dalle loro famiglie senza alcuna informazione su dove si trovassero”. I prigionieri sarebbero stati torturati “per estorcere confessioni o per intimidire, umiliare o infliggere punizioni”.

La commissione ha riscontrato “casi di donne e ragazze sottoposte a stupro e ad altre forme di violenza sessuale e di genere, tra cui stupro di gruppo, stupro con un oggetto, elettrocuzione dei genitali, nudità forzata e palpeggiamenti”.

Dal dicembre 2022 al gennaio 2024 almeno 9 giovani sono stati giustiziati dal governo dopo “processi sommari basati su confessioni estorte sotto tortura e maltrattamenti”. Ancora decine di persone rimangono a rischio di esecuzione: secondo Human Rights Watch sarebbero 11 persone.

La missione ha inoltre riconosciuto che le forze di sicurezza sono state uccise e ferite, ma che la maggior parte delle proteste sono state pacifiche.

Sara Hossain, presidente dell’inchiesta delle Nazioni Unite, si è rivolta al governo iraniano, a cui ha chiesto di «fermare immediatamente la repressione di coloro che hanno preso parte a proteste pacifiche, in particolare donne e ragazze».

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