Ambiente

National Biodiversity Future Center: “La Nature Restoration Law porta la scienza nella realtà”

L’approvazione della Legge sulla Natura da parte del Parlamento Ue è arrivata sulla scia delle proteste dei trattori: «Agricoltura e biodiversità sono amiche e connesse», spiega a La Svolta Massimo Labra di Nbfc
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4 marzo 2024 Aggiornato alle 11:30

L’approvazione della Nature Restoration Law da parte del Parlamento Europeo è stata festeggiata, subito e tanto dagli ambientalisti, molto meno dalle associazioni degli agricoltori sull’onda delle proteste dell’ultimo mese.

Con questa novità, per Confagricoltura e Coldiretti potrebbero esserci cali della produzione, per Cia il settore rischia di dover sostenere nuovi oneri.

Inoltre dalla conferenza stampa sull’Agrifish è emersa la posizione critica del ministro Francesco Lollobrigida: «La Legge sul Ripristino della Natura», ha affermato, «è proprio un esempio di quell’approccio ideologico e di quel percorso che va fermato, perché ha messo in ginocchio il nostro sistema produttivo». E gli scienziati invece cosa dicono?

Per i 2.000 ricercatori e ricercatrici del National Biodiversity Future Center, il più vasto progetto mai realizzato in Italia sulla biodiversità - con i finanziamenti del Pnrr Next Generation EU -, è una svolta epocale, un importante passo verso il ripristino degli ecosistemi in Europa e un’opportunità unica per la creazione di green-blue jobs, necessari alla creazione di un futuro più equo e più sostenibile.

L’ente sta già investendo 320 milioni di euro per la conservazione, la valorizzazione e il restauro della biodiversità marina, terrestre e urbana, proprio nella stessa direzione di questa legge, per la quale manca solo il via libera del Consiglio. Abbiamo intervistato Massimo Labra, direttore scientifico di Nbfc e Docente di Biologia Vegetale dell’Università degli studi di Milano-Bicocca.

Cosa significa l’approvazione della Nature Restoration Law, per la scienza?

Significa finalmente poter prendere tutta la conoscenza scientifica generata in questi anni, che adesso si è concentrata sulla biodiversità e metterla in pratica. Abbiamo pronte le soluzioni, le abbiamo testate e provate, adesso occorre portarle in ambito operativo: portiamo la scienza fuori dalle grandi torri d’avorio delle accademie e la mettiamo in pratica.

E cosa rappresenta invece per l’Italia?

Significa finalmente fermare il consumo di suolo: nel nostro Paese sono stati consumati più di 1.000 km² di suolo negli ultimi 15 anni. Abbiamo il 67-68 % degli ecosistemi che sono alterati. Adesso finalmente non solo stoppiamo questa tendenza ma ripristiniamo questi contesti.

A quali effetti concreti potrebbe portare il ripristino dell’ecosistema?

Gli effetti sono diversi e non solo ambientali, anche per l’Italia. Ripristinare l’ecosistema significa fornire servizi ecosistemici: salute per l’uomo, nuovi farmaci e alimenti, riduzione degli stress ambientali, mitigazione delle temperature. Vuol dire tutto questo.

Poi ci sono gli obiettivi e i numeri: la sfida è ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marine entro il 2030 e recuperare tutti gli ecosistemi degradati entro il 2050. Ma dal punto di vista scientifico come si può fare?

Nel Centro Nazionale della Biodiversità ci siamo messi a catalogare varie aree e Paesi, abbiamo cercato di capire dove la condizione era disastrosa, intermedia, discreta o buona. Quindi abbiamo quelle che si chiamano le nature based solutions, ovvero le soluzioni per la natura ispirate alla natura.

Cosa prevedono esattamente?

Immaginiamo un punto vicino a una strada o un piccolo pezzettino di costa; l’area è degradata, perché è stata abbandonata oppure c’era una costruzione che adesso non c’è più, oppure ancora era una zona agricola ora inutilizzata. Ecco, lì possiamo impiantare una piccola foresta o creare piccole aree verdi con essenze floreali per aumentare il numero di impollinatori. Possiamo fare una piccola prateria di alghe e piante marine per riportare la biodiversità dei pesci. Proponiamo questo catalogo di “soluzioni della natura ispirate alla natura per la natura”, quasi come se fosse un grande magazzino naturale.

Ci fa un esempio concreto?

Alla Bicocca avevamo un’enorme piazza, tutta cementificata. Abbiamo identificato delle isole verdi. Così la stiamo rifacendo, creando quattro isole verdi che si connettono tra di loro. Le soluzioni possono essere tante: un tetto verde, una strada verde in mezzo al cemento, un corridoio ecologico, piccole aree umide, specchi d’acqua che aiutano gli animali…

Eppure si sono levate voci critiche verso la legge sulla natura

Queste soluzioni non sono incompatibili con le attività dell’uomo. Su questa legge si è detto a esempio che ridurrà la produttività della pesca e dell’agricoltura. Non è vero, anzi: aumentando gli impollinatori incrementeremo la produttività agricola, proteggendo certe aree marine aumenteremo la qualità e la quantità di pesce.

Da quali aree si potrebbe partire?

Nessuno sta dicendo di distruggere i campi vitivinicoli per ripristinare la biodiversità. Noi proponiamo di prendere quelle aree marginali, abbandonate e degradate e di farle diventare valore per la biodiversità. Le nostre città sono piene di aree con il filo rosso e la scritta “Chiusa, da bonificare”. Ecco, prendiamo quelle aree che possono essere ripristinate e piuttosto che costruirci un palazzo ci facciamo un’area verde, o magari ci facciamo sia l’uno che l’altra, perché lo sviluppo socio-economico non dev’essere in contrapposizione con lo sviluppo della biodiversità, che è un elemento fondamentale per la nostra vita. Non possiamo scegliere: dev’esserci biodiversità e vita sociale.

Al di là della legge sulla natura, quali sono attualmente i progetti del National Biodiversity Future Center in corso?

I progetti più importanti sono quattro:

1. Il primo è sviluppare sistemi di monitoraggio per acqua, terra e città che siano capaci di avere l’early warning, cioè dei campanelli d’allarme immediati se sta succedendo qualcosa. E qui sfruttiamo strumenti innovativi, come l’intelligenza artificiale dei sistemi di sensori che sono capaci di dirci se quell’area è a rischio incendi o si sta contaminando.

2. Il secondo progetto è sulla conservazione. Spesso si pensa che quest’ultima, riguardo alla biodiversità, avvenga solo in grandi parchi verdi, ma si può portare avanti anche in tanti altri contesti: stiamo sviluppando soluzioni innovative in questo campo. Si possono conservare alcune specie reintroducendole in aree dove sono scomparse o si sono ridotte: si chiama “Rafforzamento”.

3. Poi c’è il ripristino con questo grande catalogo di soluzioni della natura ispirate alla natura: le stiamo ideando e personalizzando; l’Italia può diventare il grande monumento della biodiversità per il Mediterraneo. Le soluzioni che sviluppiamo vanno bene in Grecia, Francia, Spagna: possiamo diventare esportatori di tecnologia.

4. L’ultimo punto, il più importante forse, è che abbiamo deciso che la diversità non deve essere un costo - sociale - per il Paese ma un valore. Allora c’è una grande parte dei ricercatori che lavora sulla valorizzazione della biodiversità. Vuol dire tirare fuori molecole bio-attive che possono essere farmaci, cosmetici, integratori, alimenti; identificare piante che abbassano l’inquinamento e catturano le polveri sottili, un tema molto forte di questi giorni; creare benessere psicofisico, garantire l’accesso alle aree verdi, favorirne l’uso, connetterle per pensare che quel parco sia parte della tua casa.

E poi ci sono i green-blue jobs: cosa sono? Come immaginate il loro futuro?

Uno dei più grandi obiettivi del Centro Nazionale è promuovere questi lavori per i giovani, senza disparità di genere né di territorio. Si possono fare in Sicilia come a Milano. Sono il tecnologo degli ecosistemi, il pianificatore delle aree verdi urbane, il manager della biodiversità. Tutti questi sono lavori nuovi che stanno crescendo in maniera impressionante, anche tra tante startup, dove i giovani si ritrovano perché conoscono il valore della natura. La legge 9 dello Stato ci dice che dobbiamo rispettare la biodiversità per le generazioni future. I giovani, i miei studenti sanno bene cosa significa questo. Siamo già un Paese che cresce molto, questo deve essere il futuro.

Il centro ha già messo in campo investimenti tangibili. Quali risultati si potranno raggiungere?

Ci sono 320 milioni di euro per la scienza, poi abbiamo finanziato tutta una serie di progetti per portare la scienza del Centro all’interno dei parchi. Un’altra grande call aperta è prendere tutte quelle piccole e medie imprese che stanno facendo business sulla biodiversità e supportarle nelle loro nuove idee, per favorire l’occupazione nella biodiversità. Stiamo formando anche da un punto di vista imprenditoriale tutti quei giovani che dal mondo della ricerca trovano ispirazione per fare nuove imprese. Poi c’è il dottorato nazionale sulla biodiversità. Un altro grande obiettivo è digitalizzare tutte le collezioni museali: se devo vedere come è fatta una mostra o una pianta, mi devo recare fisicamente sul posto, adesso tutto il mondo potrà guardare le nostre collezioni museali e così magari da ricercatori in giro per il pianeta potranno arrivare ricette di conservazione su qualche specie, portando valore alla nostra biodiversità. C’è tanta internazionalizzazione.

Ha accennato al rapporto tra biodiversità e agricoltura. L’ok alla Legge sulla Natura arriva proprio sulla scia delle proteste dei trattori in Italia e in Europa, che abbiamo seguito in questo periodo. Esiste una posizione scientifica sull’agricoltura?

Il nostro innanzitutto è come sempre un Paese delle piccole e medie imprese agricole. Tra l’altro ho fatto un dottorato in viticoltura, conosco bene le realtà agricole ed effettivamente c’è una difficoltà a far pagare il proprio lavoro. Questo tema del valore economico delle produzioni primarie è molto rilevante. Capisco che loro si aspettavano riconoscimenti per il valore dell’agricoltura in quanto lavoro. Credo quindi che il tema critico sia la paura che questa legge vada a erodere aree agricole. L’obiettivo invece è collaborare insieme all’agricoltura per lavorare davvero a tre o quattro cose.

Quali?

Una è favorire i servizi eco-sistemici che servono all’agricoltura, primo tra tutti gli impollinatori: senza di loro, molte specie agricole non producono né tanto né qualità. La seconda è salvaguardare la qualità dei suoli. La biodiversità spontanea può arricchire un suolo agricolo, molto. Oggi la viticoltura e le tecnologie più avanzate usano la biodiversità e l’inerbimento naturale per migliorare la qualità delle proprie produzioni.

Poi c’è un tema trasversale: le tecnologie che sviluppiamo nei ripristini dei centri della biodiversità sono traslabili all’agro-biodiversità. Di fatto l’agricoltura nasce dalla biodiversità. Possiamo apportare tecnologia in questo mondo, aiutando le produzioni a ridurre i pesticidi e a migliorare la qualità dei prodotti.

State conducendo ricerche su questi temi?

In questi giorni stiamo lavorando al fatto - e i primi dati sembrano darci ragione - che un frutto impollinato dagli impollinatori abbia proprietà nutrizionali migliori rispetto a un frutto che si è impollinato da solo col vento o in maniera artificiale. Queste sono le classiche ricerche che all’agricoltura fanno molto bene. Si pensava che agricoltura e natura fossero nemici 20 anni fa, penso che oggi tutti gli agricoltori siano consapevoli che agricoltura e natura non sono solo amiche ma sono strettamente connesse. Tra l’altro dalla biodiversità si possono generare bellissimi agriturismi che, detto tra noi, alcune volte fanno il business di un piccolo produttore agricolo.

I piccoli produttori potrebbero ottenere benefici da studi sulla biodiversità?

Sicuramente tutti quei produttori che non riescono ad accedere alla tecnologia, da un centro nazionale della biodiversità, potrebbero avere tecnologia fruibile senza dover investire soldi in ricerca e sviluppo che ovviamente hanno dei costi esagerati. Essendo un Paese di piccoli agricoltori, non abbiamo bisogno degli aerei che distribuiscono pesticidi. Siamo tutte small & medium farm. Il parco agricolo sud di Milano è un esempio in cui agricoltura e natura convivono, al Parco della Maremma si aggiunge l’allevamento.

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