Economia

Il gender pay gap aziendale si combatte a suon di “trasparenza”

La direttiva europea 2023/70 per la parità salariale dovrà essere recepita dall’Italia entro il 2026: cosa prevede? Chiarezza riguardo gli stipendi e i criteri di assunzione, oltre alla possibilità per la vittima di discriminazione retributiva di ottenere un risarcimento
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26 febbraio 2024 Aggiornato alle 15:00

Parità e trasparenza sono i punti cardine della nuova direttiva europea 2023/270, entrata in vigore nel giugno 2023 proprio per rafforzare il rispetto del principio di parità di retribuzione tra donne e uomini che svolgono lo stesso lavoro attraverso l’introduzione di specifici obblighi di trasparenza a favore dei lavoratori privati e pubblici.

Come ogni direttiva, l’Unione europea fornisce obiettivi generali di riduzione delle discriminazioni economiche basate sul genere, su cui gli Stati membri dovranno intervenire con modalità scelte autonomamente dopo il recepimento con apposita legge, che l’Italia è chiamata a effettuare entro il 7 giugno 2026.

La misura si pone come ulteriore rafforzamento del divieto di discriminazione imposto dall’art.4 della precedente direttiva Ue del 5 luglio 2006 , con l’obiettivo di superare il divario retributivo di genere del 13% registrato nell’Unione, dove per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna ne riceve solo 0,87. In particolare, i Paesi europei sono invitati a mettere in campo le misure necessarie a garantire l’impiego di strumenti e metodologie per valutare e confrontare il valore del lavoro e implementare schemi di classificazione del personale neutri sotto il profilo del genere, in modo da prendere in considerazione non solo i requisiti e le conoscenze professionali necessarie a svolgere le mansioni assegnate, ma anche le competenze richieste in termini relazionali e di impegno.

La trasparenza dovrà essere l’obiettivo attorno al quale costruire un nuovo modello di lavoro molto più rispettoso per lavoratori e lavoratrici. E questo varrà a partire dalla fase di assunzione, in cui sarà vietato chiedere informazioni sulle retribuzioni pregresse ai candidati e alle candidate, ai quali sarà garantita la trasparenza sulla retribuzione iniziale, sui criteri utilizzati per determinare i livelli retributivi e sulla progressione retributiva. Questi criteri dovranno essere oggettivi, neutri e parametrati a percorsi formativi, esperienze e competenze maturate dai singoli lavoratori e lavoratrici durante la loro carriera, senza alcun riferimento al loro genere. L’art.7 prevede poi la possibilità per i lavoratori di richiedere informazioni relative anche ai livelli retributivi medi delle categorie di lavoratori che svolgono la stessa attività o un impiego di pari valore.

La direttiva impone dunque alle imprese europee (sia pubbliche e private) di grandi dimensioni, con un organico tra i 100 e 250 dipendenti, di rendere pubbliche tutte le informazioni che permettano di confrontare gli stipendi dei loro dipendenti, con particolare attenzione sui divari e le differenze retributive, confluite in uno specifico rapporto annuale, alla cui redazione sono coinvolti preventivamente anche i sindacati. Nel caso in cui i dati facciano emergere un divario retributivo tra lavoratori di sesso maschile e femminile pari (o superiore) al 5%, e in assenza di giustificazioni basate su criteri oggettivi e neutri, i datori di lavoro dovranno riportare la situazione verso la parità collaborando con appositi organismi e con l’ispettorato del lavoro, oltre che con le parti sociali.

Novità anche sul fronte della giustizia, in quanto qualsiasi lavoratore o lavoratrice vittima di discriminazione retributiva basata sul genere potrà ottenere un risarcimento o la piena riparazione del danno con una procedura d’urgenza azionabile su ricorso dal lavoratore stesso o su delega dei sindacati, di fronte al quale sarà il datore di lavoro a dover dimostrare di non aver violato le norme europee di trasparenza e parità retributiva. Un’inversione dell’onere della prova che lascia alle imprese il carico più pesante, conferendo dunque maggiore tutela alle fasce di lavoratori che hanno subito un’ingiustizia.

Mancano ancora due anni al recepimento ufficiale della direttiva all’interno dell’ordinamento italiano, anche se non è scontato che molte imprese possano portarsi avanti col lavoro individuando sin da subito una struttura interna all’azienda che possa rispettare tutti gli obiettivi e i criteri di trasparenza imposti a livello europeo. Un passaggio necessario, se consideriamo che in Italia la retribuzione media annua dei lavoratori uomini è circa 26.227 euro e quella delle lavoratrici donne circa 18.305 euro, con un gender pay gap di 7.922 euro.

Alle ragioni per non aspettare fino al 2026 per attuare autonomamente la nuova norma, si aggiunge poi il dato del Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum, secondo cui una vera e propria parità di busta paga tra uomini e donne si potrà raggiungere solo nel 2154, tra 131 anni.

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