Economia

Ue: l’eliminazione del gender pay gap è vicina?

Forse no. Ma qualcosa si sta muovendo. Lo testimonia un Regolamento del Parlamento che impone trasparenza salariale e vieta la discriminazione retributiva
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14 giugno 2023 Aggiornato alle 18:00

Il Parlamento europeo ha recentemente approvato una nuova legislazione in materia di disparità salariale. Con 427 voti favorevoli, 79 voti contrari e 76 astenuti, è passato un regolamento che per la prima volta vincola gli Stati Membri ad adeguare, in tre anni, la propria legislazione per favorire l’abbattimento delle disuguaglianze di genere sul posto di lavoro. E, per la prima volta, viene anche affrontata la lotta alla discriminazione da una prospettiva intersezionale, includendo esplicitamente i diritti delle persone non binarie.

Un primo passo da parte del Parlamento, che lascia quindi al solo Consiglio il compito di approvare il testo, che sarà poi pubblicarlo sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea.

Il contenuto del testo impone che il divario salariale non superi il 5%, obbliga alla trasparenza retributiva e affida l’onere della prova dell’effettiva uguaglianza al datore di lavoro.

In caso si verifichino discriminazioni in tal senso, viene imposto agli Stati Membri di applicare “sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive”, come ammende per i datori di lavoro o risarcimenti per i lavoratori e lavoratrici.

Qualora il divario salariale attuale superi il 5%, viene richiesta ai datori di lavoro una valutazione delle retribuzioni che venga redatta assieme ai rappresentanti dei lavoratori.

Inoltre, in un’ottica di trasparenza, i datori di lavoro sono tenuti a pubblicare i livelli salariali individuali e medi divisi per genere, senza alcuna clausola di non divulgazione.

Infine, nel caso in cui un lavoratore (o, più probabilmente, una lavoratrice) denunci la non applicazione del principio di parità salariale, viene imposto al datore di lavoro l’onere di provare e dimostrare che non sussistano condizioni discriminatorie.

Il gender pay gap in dati

Nell’Ue, la disuguaglianza di genere in ambito salariale e occupazionale è eterogenea: tra tutti gli Stati Membri spiccano infatti i Paesi Scandinavi, dove la situazione di disparità retributiva e occupazionale è di molto ridotta, passando per Stati con alta disparità occupazionale ma non retributiva (uno su tutti, la Spagna) e viceversa (come le Repubbliche Baltiche), fino ad arrivare a Stati Membri in cui la situazione risulta essere ancora arretrata (tra questi, i cosiddetti “Paesi Visegrad” e la Grecia).

L’Italia, secondo l’ultimo rapporto del World Economic Forum, si colloca al 63esimo posto per disuguaglianza salariale, il peggiore in Europa Occidentale e l’ultimo tra i paesi del G7, mentre la disparità occupazionale è circa al 19%, tra le peggiori nell’Ue assieme alla Grecia.

Un dato allarmante, soprattutto alla luce del fatto che, in Italia, le donne tendono a laurearsi di più e con voti più alti degli uomini.

Le ragioni di tali disuguaglianze sono molteplici: un contesto culturale patriarcale, una persistente segregazione settoriale, la distanza delle donne dal settore STEM, uno spessissimo tetto di cristallo.

Le iniziative degli altri Paesi

L’iniziativa europea non è però la sola. Il gender pay gap, nel mondo, viene affrontato in termini differenti, a seconda dello Stato, con modelli particolarmente interessanti, da cui gli stessi Stati Membri potrebbe prendere spunto.

L’Islanda, leader mondiale nella lotta al gender gap, ha introdotto nel 2018 l’obbligo per le aziende con oltre 25 dipendenti di comprovare l’effettiva uguaglianza di genere dal punto di vista retributivo, che dà continuità alla legislazione inerente già in vigore da decenni.

Altro caso è quello canadese, che nel 2021 ha introdotto il Pay Equity Act, che impegna le imprese a sviluppare, attuare e garantire piani proattivi per raggiungere la parità salariale, istituendo una Commissione ad hoc per monitorare e garantirne l’effettiva applicazione.

Infine, interessante è il caso della Namibia, a oggi tra i Paesi in cui il gender pay gap si sta riducendo maggiormente. Questo è un modello in cui il recente sviluppo costituzionale - che in più punti ribadisce l’uguaglianza tra uomini e donne, specificando che queste ultime debbano avere le possibilità di poter partecipare alla vita politica, economica e sociale alla stessa guisa degli uomini - è accompagnato a un sistema che attua e mette in pratica tali principi e valori, come testimonia il Global Gender Gap Index, che lo colloca all’ottavo posto per divario di genere.

Il Parlamento europeo, con questa misura, ha detto stop alla disparità di genere. E gli Stati Membri? Daranno continuità al voto dato a Strasburgo, o resteranno indietro?

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