Economia

Gender pay gap: nuovo anno, stessa (vecchia) storia

Nel mondo le donne arrivano al pensionamento con il 74% della ricchezza accumulata dagli uomini. In Italia la disparità salariale è all’11,2% nel settore privato. Eppure la parità di genere conviene: al Paese e alle aziende
Credit: Tan Danh/pexels
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
10 gennaio 2023 Aggiornato alle 06:30

Cambia l’anno, ma non le priorità. E allora torniamo a parlare di parità di genere. E facciamolo in una prospettiva di medio-lungo periodo.

Il Wealth Equity Index - sviluppato da Wtw in collaborazione con il World Economic Forum - offre una panoramica mondiale sulle discriminazioni di genere che le donne sperimentano nel corso delle loro vite. In particolare, quantifica il gap di ricchezza rispetto agli uomini al momento del pensionamento. L’edizione del 2022 conferma un dato tristemente noto: le donne sono in svantaggio nell’accumulazione di ricchezza durante tutto il periodo della loro vita lavorativa e questo si traduce in un livello pensionistico molto più modesto rispetto a quello degli uomini.

Il divario economico di genere è stato rilevato in tutti i 39 Paesi analizzati nello studio, senza alcuna eccezione. Quantifichiamolo: in media, le donne arrivano alla pensione con appena il 74% della ricchezza accumulata dagli uomini (ne abbiamo anche scritto recentemente).

Non accumuliamo ricchezza: accumuliamo svantaggi

Sappiamo bene come si creino e si rinforzino gli svantaggi che le donne accumulano nel corso delle loro vite ed hanno a che fare con gli stereotipi e con le aspettative sociali che si riverberano sulla loro presenza all’interno del mercato del lavoro.

Il lavoro di cura non retribuito (che ricade sproporzionatamente sulle spalle delle donne) e il giudizio sociale, a volte spietato, circa l’adeguatezza delle madri che lavorano, sono solo alcuni dei fattori che impattano sulla possibilità delle donne di creare reddito attraverso il proprio lavoro.

Senza contare che, anche quando riescono a rimanere nel mercato del lavoro, le donne vengono discriminate anche in termini retributivi. Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Jobpricing, nel 2021 in Italia la disparità salariale tra uomini e donne è all’11,2% nel settore privato considerando la retribuzione annua lorda (ma se si include anche la componente variabile sale ulteriormente, arrivando all’12,2%).

Detto in altri termini, è come se le lavoratrici italiane lavorassero gratis fino all’11 febbraio.

E questi dati sul gender pay gap rischiano di essere sottodimensionati. Perché fino all’approvazione della Legge Gribaudo, le aziende private con meno di 100 dipendenti non avevano alcun obbligo di raccolta sui dati relativamente alla disparità salariale. Peccato che, in Italia, le imprese di grandi dimensioni siano pochissime: secondo Istat, nel 2020 le microimprese rappresentavano infatti il 95,2% del tessuto produttivo nazionale. Quindi, l’obbligo di raccolta dei dati era applicabile a pochissime imprese. Con la Legge Gribaudo, invece, l’obbligo di redigere un rapporto biennale sulla composizione della forza lavoro (ma anche sui processi di selezione, le policy, gli avanzamenti di carriera e, ovviamente, le retribuzioni) è stato esteso alle aziende con 50 dipendenti.

I primi Rapporti sono stati già consegnati e i dati sono attualmente in fase di analisi.

Le buone notizie

Ma iniziamo il nuovo anno con qualche buona notizia, perché la parità di genere conviene. Alle donne, al Paese, ma anche alle aziende che possono dimostrare di averla presa sul serio. In questa direzione vanno anche il decreto del Ministero del Lavoro e le istruzioni dell’Inps che premiano le imprese che hanno ottenuto la certificazione per la parità di genere entro la fine del 2022. Parliamo di un esonero contributivo dell’1% nel limite di 50.000 euro e anche di un criterio preferenziale nei bandi di gara della Pubblica Amministrazione.

Così come occorre stanziare ancora più fondi a favore dell’imprenditoria femminile: stando ai dati pubblicati da InfoCamere per l’Osservatorio sull’imprenditorialità femminile di Unioncamere, crescono infatti le start-up innovative femminili, che sono arrivate a rappresentare il 13,6% del totale delle start-up.

Le potenzialità sono moltissime, i risultati ancora da migliorare, ma finalmente la strada intrapresa è quella giusta.

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