Economia

Uk: come sta il gender pay gap?

Se si comparano i salari maschili a quelli femminili, in media quest’anno è come se ogni donna inglese avesse iniziato a guadagnare il 23 febbraio, anziché all’inizio dell’anno
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3 marzo 2023 Aggiornato alle 13:00

Gli ultimi dati pubblicati dal Trade Unione Congress fanno rabbrividire, eppure non ci lasciano sorpresi: a causa del gender pay gap è come se le donne del Regno Unito avessero iniziato a essere pagate non dall’inizio dell’anno, ma da venerdì 23 febbraio.

Secondo le analisi, infatti, le donne guadagnano in media 29.684£ l’anno, mentre gli uomini arrivano a 35.260£, con una differenza di 5.576£ che corrispondono a 54 giorni lavorativi. In termini di paga oraria, il gap è del 14,9%, quindi se le donne percepiscono in media 13,55 sterline, gli uomini sfiorano le 16£.

Se allo scenario già deprimente includiamo un’inflazione a doppia cifra e un tasso di occupazione tra i più bassi degli ultimi 30 anni, complice anche la difficoltà delle madri di accedere al mercato del lavoro, sono comprensibili le crescenti pressioni da parte della popolazione sul cancelliere britannico Jeremy Hunt, che il 15 marzo dovrebbe presentare il budget di spesa primaverile.

Secondo The Guardian, il cancelliere avrebbe rifiutato la proposta del Ministero dell’Economia di incrementare di 30 ore l’assistenza all’infanzia gratuita per i bambini tra i 9 mesi e i 3 anni a causa dei costi troppo elevati, pari a circa 6 miliardi di sterline, che corrisponderebbero a un aumento di circa 1 centesimo dell’aliquota dell’imposta sul reddito.

Tuttavia, una mossa in questa direzione è molto attesa. Lo scorso novembre, dopo l’annuncio del budget autunnale, The Women’s buget Group ha scritto una lettera diretta al Cancelliere, evidenziando le fallacità del sistema britannico: costi per gli asili elevatissimi e oltre 1,7 milioni di donne che vorrebbero lavorare, ma non possono a causa delle responsabilità di cura. Se questo squilibrio fosse pareggiato, secondo i calcoli dell’organizzazione, il beneficio economico sarebbe di 28 miliardi di sterline.

Da un sondaggio fatto dal The Guardian su 1000 genitori con bambini sotto i 4 anni, è emerso che il 63% ritarda la decisione di avere un figlio per i costi troppo elevati dell’assistenza all’infanzia, che continuano ad aumentare secondo almeno la metà degli intervistati e che ha spinto il 32% di essi a ridurre spese di prima necessità.

La responsabilità di cura gioca un ruolo centrale nell’occupazione femminile e ce lo dimostrano i dati. Il divario retributivo aumenta all’aumentare dell’età, per le giovani tra i 18-21 anni è dello 0,6%, per la fascia 22-29 sale al 3,9% e raggiunge il suo picco tra i 50-59 anni con il 20,8%, per poi scendere leggermente al 18,4% per le over 60.

È innegabile, dunque, l’impatto dei figli nella carriera lavorativa di una donna costretta a districarsi tra maternità, cura della casa e lavoro. Inevitabilmente l’occupazione cala: il tempo a disposizione non è sufficiente e, se anche bastasse, le opportunità di carriera si riducono drasticamente.

La colpa di questa realtà va in parte identificata anche nel part-time involontario. Secondo l’Ufficio delle Statistiche Nazionali britanniche, il divario salariale di genere tra impiegati a tempo pieno è passato dal 7,7% nel 2021 all’8,3% nel 2022, mentre nei lavoratori part-time è sceso di 0,3 punti percentuali, assestandosi al 2,8%. Inoltre, le donne sono molto più propense a lavorare a tempo parziale e, di conseguenza, la loro busta paga ne risente.

Secondo il TUC, il divario salariale in alcuni settori sta aumentando, come a esempio in quello della finanza e delle assicurazione, dove le donne lavorano gratuitamente per 114 giorni all’anno a causa di un divario del 31,2%. Altri esempi? Nell’istruzione il gap è superiore al 20% e nella sanità raggiunge il 14%. Percentuali diverse che convergono in una direzione: il problema persiste in tutti gli ambiti.

«Le donne che lavorano meritano la parità di retribuzione ma agli attuali ritmi di progresso ci vorranno più di 20 anni per colmare il divario retributivo di genere. Non possiamo consegnare un’altra generazione di donne alla disuguaglianza salariale» ha affermato Paul Nowak, Segretario Generale TUC.

Per evitarlo è necessario anche sfruttare in maniera adeguata il lavoro flessibile e sostenere la maternità e la paternità con congedi ben retribuiti che consentano la condivisione dei carichi di cura.

Il rischio altrimenti è quello di far gravare sulle donne anche la colpa di questa condizione, come evidenzia la fondatrice di Pregnant than Screwed, Joeli Breadley «Le donne subiscono discriminazioni per la maternità perché sono viste come distratte e non impegnate nel loro lavoro quando hanno figli, mentre gli uomini vengono pagati di più dopo essere diventati padri». Non è certo un caso se si parli di childhood penalty per le mamme e di paternity bonus per gli uomini, ai quali venendo riconosciuto il dovere di sostenere economicamente la propria famiglia, sono concesse promozioni e aumenti salariali.

Il grande fermento per le decisioni di spesa del cancelliere insieme ai risultati dell’analisi del Trade Union Congress evidenziano una necessità: quella di prendere consapevolezza dell’urgenza del problema e dell’esigenza di agire con misure mirate che non lascino indietro nessuno.

Anche in Italia non siamo messi benissimo, anzi. L’analisi 2022 dell’Osservatorio Job Pricing attesta che le donne occupate sono il 49,4% -18 punti percentuali rispetto agli uomini, che hanno lavorato gratuitamente fino all’11 febbraio e che tra quelle comprese tra i 55 e i 64 anni il gap salariale raggiunge il 17%.

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