Diritti

Scioperare per lavorare : Amazon Fresh e i minuti contati

Lavoratrici e lavoratori di una sede milanese del colosso scioperano per chiedere due ore di lavoro e tre minuti in più di pausa. In un gioco al ribasso, lottano per diritti minimi che l’azienda non vorrebbe garantire
Credit: Saverio Nichetti 
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25 febbraio 2024 Aggiornato alle 06:30

Di Amazon si vede il sito. La velocità di acquisto. Le scatole, riconoscibili ovunque con quel logo sorriso che ormai è presente persino in aeroporto, sulla flotta azzurra della compagnia.

Un e-commerce che opera in regime di pseudo-oligopolio che nasconde le reali dimensioni dell’azienda, tutte da ricercare nei servizi digitali che Amazon Web offre, tra cui spicca per potenza e invadenza quello dei server nei cui circuiti poggiano anche i colossi più insospettabili, come Netflix.

Il fatturato: 514 miliardi nel 2022. I portavoce, il Ceo Andy Jassy, il fondatore - ora presidente esecutivo - Jeff Bezos. Questo è quello che si vede, che si sente della più grande compagnia internet al mondo.

Quello che non si vede sta nei magazzini, dietro la ruota del volante, in cella frigorifera, a casa dopo un solo mese di lavoro senza rinnovo. Sto parlando delle lavoratrici e dei lavoratori di Amazon, quelli che nessuno vede ma il cui lavoro continuo arriva nelle case di chiunque ordini qualcosa sul sito.

Sono loro che consentono al servizio Amazon Fresh - tra gli altri - di essere veloce, preciso e irrinunciabile. Con i loro tot pezzi al giorno da imbustare, lo scanner che “a fini statistici” controlla che quelle quote siano effettivamente state rispettate e il tesserino di ingresso.

Fanno orari di lavoro continui, tant’è che per ottenere una pausa, qui in Italia, nella sede di Milano, hanno dovuto scioperare. La richiesta era quella di avere 10 minuti liberi durante il turno di lavoro. Dopo gli scioperi la risposta della sede di Milano è stata quella di concederne 7. Una modalità tipica delle aziende con strutture all’americana, in cui il management fa concessioni inferiori alle richieste per dimostrare che si tratta proprio di questo: concessioni e non conquiste. Che alla fine, il potere rimane nelle mani di chi decide e le persone dipendenti devono sentirsi benedette dalle loro decisioni e tante grazie.

Il 19 febbraio, lavoratrici e lavoratori della sede di via Nicolodi hanno scioperato per quei tre minuti mancanti e dimostrare che non se ne sono certo dimenticati, ma soprattutto per ottenere due ore in più di lavoro. «Con un part time e 800 euro a Milano non si vive - argomenta una persona impegnata in sciopero che mi spiega quanto sembri una presa in giro l’assenza di quelle due ore. - Di fatto, l’azienda è solo che felice di assumere nuove persone» con contratti a tempo determinato - con tutte le agevolazioni del caso e zero potere contrattuale - garantendosi così la mole di lavoro necessaria senza retribuire maggiormente i dipendenti assunti a tempo indeterminato.

Un leitmotiv che intacca anche gli straordinari, che sono «messi lì, e poi sta a noi litigarceli». Chi prima arriva li ottiene, ma non è un modo sano di gestire il personale, lasciando che competizione e diffidenza serpeggino. Una modalità non ignota e che puzza di anti sindacalismo - per cui una sede inglese dell’azienda è già stata chiamata a rispondere - malcelato.

Infatti, se le persone assunte se la giocano tra loro per gli straordinari che possono dare loro la possibilità di far fronte al carovita, diventa più difficile che si alleino e aggreghino.

Nel frattempo, in sede, si tengono periodici cerchi con il management per chiedere alle persone dipendenti i loro feedback, prontamente ignorati. Come se non bastasse, il lavoro richiede lo svolgimento di mansioni pesanti come lo spostamento di casse di acqua imbottigliata - quelle che i clienti potrebbero anche evitare di comprare facendo un favore a sé stessi, all’ambiente e alle persone che preparano i loro sacchetti della spesa - o potenzialmente rischiose e che quindi richiedono l’applicazione di particolari disposizioni.

È il caso delle celle frigorifere che necessitano di un equipaggiamento specifico e di pause ben calibrate. Stando alle testimonianze, è dovuta intervenire l’associazione sindacale per ottenere i presidi adeguati per tutte le persone che dovevano entrare e uscire dalla cella frigorifera.

Solidali allo sciopero, sono giunti anche lavoratori da altre sedi e driver, i guidatori che in fasce orarie specifiche e striminzite devono consegnare i prodotti del servizio Fresh che raccontano di quante richieste abbiano dovuto fare per garantirsi le giuste condizioni di lavoro - a partire dagli strumenti di carico e scarico merci che non erano in dotazione e che dovevano acquistare loro, come i carrelli, fino ad arrivare alle condizioni igieniche dei furgoni stessi.

L’efficienza che contraddistingue Amazon è possibile solo grazie al lavoro continuo, logorante e invisibilizzato delle lavoratrici e dei lavoratori che attraversano questi spazi di smistamento. Retribuiti poco rispetto agli utili che la loro presenza garantisce all’azienda, basati su numeri che le persone impegnate vedono ogni giorno e di cui conoscono benissimo il valore. Eppure, pare che 3 minuti di pausa e 2 ore di lavoro, siano troppo da chiedere.

E qui forse sta l’assurdo. Lavoratrici e lavoratori chiedono di poter lavorare due ore in più per far fronte ai prezzi e alla vita in un sistema economico disfunzionale. Chiedono di lavorare e viene detto loro di no. Non chiedono aumenti in busta paga, che sarebbero irrisori - com’è stato l’ultimo incremento, così piccolo che poteva essere convertito in pochi euro - ma solo di poter spendere più tempo lavorativo per garantirsi autonomamente un guadagno maggiore.

Come se Amazon non potesse permettersi una giusta retribuzione di chi, a tutti gli effetti, costituisce la ricchezza reale dell’azienda.

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