Culture

3 libri impossibili da finire (o no?)

Un volume di quasi mille pagine in cui si intrecciano le quattro possibili esistenze del protagonista. Una feroce critica alla guerra. Un racconto ingarbugliato ricco di personaggi.

“Ci sono mille ragioni per abbandonare un romanzo prima della fine: la sensazione del già letto, una storia che non ci prende, il nostro totale dissenso rispetto alle tesi dell’autore, uno stile che ci fa venire la pelle […] Inutile enumerare le 995 altre ragioni, fra le quali si debbono tuttavia annoverare la carie dentale, le angherie del capoufficio o un terremoto del cuore che ci paralizza la mente”.

Nella sua lista dei diritti del lettore, al terzo posto Daniel Pennac mette quello di non finire il libro. Di combattere quel demone che ci impone di arrivare all’ultima pagina anche se la lettura più che un piacere è ormai diventata un obbligo, un compito da portare a termine costi quel che costi.

Dovremmo ammetterlo: ci sono dei libri che sembrano impossibili da finire. E non tanto (o non solo) perché sono troppo difficili, scritti in un linguaggio esageratamente complesso o con una trama durissima da seguire. A volte è nell’incontro tra il lettore e l’opera che non scatta la scintilla, appesantendo lo scorrere delle pagine e inchiodando chi sta leggendo.

Esistono titoli che sono diventati famosi negli anni proprio perché rappresentano una sfida per i lettori: alcuni sono indiscussi capolavori della letteratura, ma che lo sforzo trasforma in montagne da scalare con il solo obiettivo di raggiungere la vetta o, in questo caso, il punto finale, e poter tirare un sospiro di sollievo dicendo “ce l’ho fatta”.

Il più “famoso” è forse l’Ulisse di Joyce, più di 1000 pagine di stream of consciousness capace di sfidare anche i lettori più determinati. Ma anche Finnegans Wake, sempre dello scrittore irlandese, è tra i più citati assieme a Infinite Jest di David Foster Wallace, 2066 di Roberto Bolaño, L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon.

Il Guardian ha pubblicato addirittura una lista dei “10 libri più difficili da leggere”, in cui figurano opere filosofiche come Il Capitale di Karl Marx e l’Etica di Spinoza e romanzi contemporanei come Gli Inconsolabili di Kazuo Ishiguro e L’uomo senza qualità di Robert Musil.

Noi non vogliamo ripetere i titoli che ormai sono ingabbiati nel loro ruolo di “libri difficili per eccellenza”: per questo, abbiamo chiesto a 3 membri della nostra redazione di dirci qual è il libro che ancora li guarda dal comodino. E tu, accetti la sfida?

4321, Paul Auster, Einaudi, 944 p., 25€

Sicuramente qualcuno storcerà la bocca vedendo l’acclamatissimo romanzo di Auster in questa lista. Eppure la lettura di questo romanzo, finalista del Booker Prize nel 2017, non è cosa da poco.

La mole c’entra solo in parte. È soprattutto la narrazione caleidoscopica delle 4 possibili vite di Archie, che procedono simultaneamente per mostrare la fatalità del destino e le possibilità che si celano dietro altrettante “sliding doors”, a richiedere al lettore pazienza, attenzione e un pizzico di coraggio.

Comma 22, Joseph Heller, Bompiani, 576 p., 18€

In questo caso abbiamo (un po’) mentito. Questo romanzo, così famoso da aver dato il nome all’omonimo “paradosso” (“Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”) è in realtà uno di quelli che vengono citati spesso nell’elenco dei “libri più difficili da leggere.

La storia, parzialmente autobiografica, è quella di un bombardiere dell’Aeronautica Militare americana durante la seconda guerra mondiale. Il racconto, però, non è che una feroce critica alla guerra e un modo di esplorare la follia insita in ogni burocrazia e i paradossi dell’esistenza. Ma perché è così difficile? Soprattutto a causa della progressione non lineare della trama e la mescolanza di diversi narratori ed eventi, oltre a un linguaggio spesso oscuro da decifrare.

L’incanto del lotto 49, Thomas Pynchon, Einaudi, 178 p., 12€

Definito “il libro che ha fondato la letteratura post-moderna”, quello di Pynchon all’apparenza non sembra un testo così sfidante. Nemmeno 200 pagine, una trama che a leggerla sulla quarta di copertina non sembra particolarmente complessa.

Ma la storia è solo la superficie di un racconto che si sfilaccia, si allarga fino a farsi ingarbugliatissima, ricca di personaggi e situazioni enigmatici. Non aiuta lo stile di scrittura, che non facilita la comprensione del testo ma se possibile rende l’esperienza di lettura ancor più straniante, talvolta indecifrabile.

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