Diritti

Etica sociale e ambientale d’impresa: che cos’è la Corporate Sustainability Due Diligence?

La direttiva Csdd (la cui votazione degli Stati membri al Consiglio Ue è stata rinviata) punta a contrastare l’impatto negativo sugli ecosistemi e la violazione dei diritti umani da parte delle multinazionali
Credit: Pop & Zebra 
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16 febbraio 2024 Aggiornato alle 13:00

Per stabilire regole precise che garantiscano la tutela dei lavoratori e il rispetto della sostenibilità da parte delle grandi aziende, in Europa è in corso una negoziazione che dovrebbe portare all’approvazione della Corporate Sustainability Due Diligence (Csdd).

Secondo gli accordi raggiunti a dicembre tra Parlamento Ue, Commissione e Consiglio europeo, le multinazionali che hanno più di 500 dipendenti e un fatturato netto superiore a 150 milioni di euro dovrebbero assumersi la responsabilità civile degli effetti negativi che si verificano e che potrebbero verificarsi all’interno della loro intera catena di approvvigionamento. La direttiva Csdd ha infatti l’obiettivo dichiarato di contrastare l’impatto negativo delle attività produttive che le multinazionali hanno a livello globale sui lavoratori e sull’ecosistema.

Lavoro minorile, sfruttamento, inquinamento, deforestazione, consumo eccessivo di acqua e danni agli ecosistemi sono alcune delle conseguenze di una scarsa trasparenza nel settore produttivo europeo che provoca violazioni dei diritti umani e disastri ecologici. La direttiva sulla responsabilità etica delle imprese prevede al contrario che le aziende di ogni settore (dall’agroalimentare al tessile, così come quelle che si occupano di estrazione mineraria e di commercio) aumentino i propri standard etici su tutta la filiera produttiva.

Per farlo, le aziende dovrebbero identificare dove si verificano più violazioni di diritti umani e ambientali nella loro catene di approvvigionamento, o dove è più probabile che queste si verifichino, e quindi intervenire per prevenire i rischi in un ordine di priorità che tenga conto della loro gravità e probabilità.

In termini ambientali, la direttiva stabilisce che le multinazionali adeguino il loro modello di business all’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, mentre a tutela dei diritti umani si dovrebbero adeguare alle convenzioni delle Nazioni Unite, tra cui il Patto internazionale sui diritti civili e politici, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e la Convenzione sui diritti del bambino.

La direttiva stabilisce anche delle sanzioni per le aziende europee che non rispondono a questi obblighi di due diligence. Tra queste, il naming and shaming (cioè la pubblicazione dei nomi dei trasgressori), il ritiro dal mercato dei prodotti dell’azienda o multe pari ad almeno il 5% del fatturato netto globale, mentre le aziende extra-Ue che non rispettano le regole potrebbero essere escluse dagli appalti pubblici europei e le loro esportazioni di merci e servizi verso il mercato europeo bloccate.

L’esito del voto dipende anche dalla posizione che deciderà di assumere il Governo italiano nel prossimo futuro. Per questo le organizzazioni appartenenti alla campagna Impresa 2030-Diamoci una regolata, tra cui ActionAid Italia, Fondazione Finanza Etica, Oxfam e Save the Children, chiedono ai ministri Giorgetti e Urso di rispettare l’accordo politico tra Consiglio e Parlamento europeo raggiunto a 14 dicembre 2023 (hanno anche lanciato una guida di debunking fake news sulla direttiva).

Secondo i sostenitori della campagna, “Non si tratta solo di regole comuni ma anche di tutela del tessuto produttivo italiano: le Pmi si trovano spesso a dover subire contratti predatori e pratiche commerciali che possono indurre violazioni dei diritti umani, dei diritti del lavoro e dell’ambiente. La direttiva si preoccupa di prevenire e gestire tali dinamiche, chiedendo alle aziende di grandi dimensioni di rivedere le clausole contrattuali più vessatorie in questo senso”.

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