Economia

Confcommercio: tra il 2012 e il 2023 hanno chiuso oltre 111.000 negozi al dettaglio

Tra i più colpiti, i distributori di carburante (-40,7%), mentre sono aumentate le farmacie e parafarmacie (+12,4%) e sono nate quasi 10.000 nuove attività dedicate all’alloggio e alla ristorazione
Credit: Andrei Popescu 
Tempo di lettura 7 min lettura
13 febbraio 2024 Aggiornato alle 11:00

Tra il 2012 e il 2023, in Italia si sono verificati grossi cambiamenti tra le attività commerciali. Secondo l’analisi Demografia d’impresa nelle città italiane, realizzata dall’Ufficio Studi di Confcommercio con il centro studi Guglielmo Tagliacarne, hanno chiuso oltre 111.000 negozi al dettaglio e 24.000 attività di commercio ambulante.

La riduzione più pesante è stata registrata per i distributori di carburanti (-40,7% dal 2012), seguiti dai negozi di libri e giocattoli (-35,8%), di mobili e ferramenta (-33,9%) e abbigliamento (-25,5%).

Parallelamente, si è registrato un aumento di 9.800 attività per l’alloggio e la ristorazione, a conferma dell’evoluzione di questi 2 settori dal punto di vista dell’imprenditorialità: c’è stato, in particolare, una crescita delle attività straniere (+30%) e una flessione (-8,4%) delle italiane. Una dinamica simile si è registrata sul fronte dell’occupazione, dove la metà degli impiegati (in totale, oltre 242.000) in questi settori sono lavoratori stranieri.

In particolare, sono stati i centri storici a essere più colpiti dalla riduzione delle attività commerciali rispetto alle periferie, sia per il centro-nord che per il Mezzogiorno.

Secondo l’analisi, nei 120 Comuni più grandi d’Italia, negli ultimi 10 anni sono definitivamente “spariti” oltre 30.000 negozi al dettaglio e attività di tipo ambulante. Così, la densità commerciale è calata da 12,9 negozi a 10,9 negozi per 1.000 abitanti (-15,3%).

A chiudere, come già detto, sono stati soprattutto i distributori di carburante, le librerie e negozi di giocattoli, i negozi di ferramenta e arredamento, di abbigliamento e calzature, mentre tra le attività in “controtendenza”, che quindi sono cresciute negli ultimi 11 anni, sono state farmacie e parafarmacie (+12,4%), i negozi di telefonia e computer (+11,8%), le attività per la la ristorazione (+2,3%) e per l’ospitalità (+42%), sull’onda del successo di B&B e degli affitti brevi. Un fenomeno che colpisce indistintamente sia il nord che il sud Italia.

“Per evitare gli effetti più gravi di questo fenomeno, il commercio di prossimità deve puntare su efficienza e produttività, anche attraverso l’innovazione e la ridefinizione dell’offerta. E resta fondamentale l’omnicanalità, ovvero l’utilizzo anche di un canale online ben funzionante” si legge nel rapporto.

Negli ultimi 5 anni, infatti, gli acquisti di beni su internet sono quasi raddoppiati, passando da 17,9 miliardi nel 2019 a 35 miliardi del 2023 (per circa 54 miliardi di euro).

“La crescita dell’e-commerce è la maggiore responsabile della riduzione del numero di negozi – continua il report - ma resta comunque un’opportunità anche per il commercio fisico tradizionale”.

«Avremmo potuto essere davvero sterminati durante la pandemia - ha dichiarato il direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella - invece abbiamo perso solo il 6,7% nel complesso della sede fissa e i sopravvissuti sono, comunque, 440.000. In termini assoluti dal 2019 al 2023 sono spariti circa 31.000 negozi. 120 Comuni medio grandi al centro sono poi al centro di un’analisi sulle unità locali di commercio che mostra come dal 2012 al 2021, la densità commerciale è passata da 12,9 negozi per mille abitanti a 10,9 (-15,3%)».

Sempre più attività, poi, si convertono alla ristorazione e al turismo. In base ai risultati del dossier, il Mezzogiorno (e in particolare capoluoghi come Napoli, Lecce, Bari, Matera e Cosenza) hanno registrato il più alto incremento di attività commerciali che, abbandonate le “categorie” tradizionali, hanno popolato i centri storici di bar, ristoranti, bistrot, B&B, centri-servizi per l’accoglienza turistica e l’hospitality.

Intanto, i sindaci iniziano a muoversi. Gaetano Manfredi, primo cittadino di Napoli, ha presentato nei mesi scorsi nuovi provvedimenti a tutela del centro storico (patrimonio Unesco), tra cui spicca lo stop all’apertura di nuove attività di food and beverage per 3 anni e il contrasto a nuove aperture di case-vacanza. «Vogliamo un Centro storico restaurato ma che sia popolato dai suoi residenti. E non solo dai turisti. Non vogliamo che gli abitanti siano espulsi dai fitti brevi delle case vacanza» ha affermato il sindaco.

Il modello di riferimento adottato da Manfredi è Firenze: nell’area Unesco fiorentina (che rappresenta il 5% del centro storico ma che accoglie il 75% delle locazioni brevi della città), il sindaco Nardella ha introdotto lo stop agli affitti brevi. Chi rinuncerà ad affittare ai turisti e tornerà alle locazioni ordinarie si vedrà azzerare l’Imu per 3 anni. Nel capoluogo toscano, dal 2016 al 2023, gli affitti brevi sono più che raddoppiati.

«Chi viene a Napoli - ha dichiarato il sindaco Manfredi - lo fa per la varietà della città, il mix sociale del nostro centro storico, la varietà dell’offerta commerciale e ricettiva. Se perdiamo questo equilibrio perdiamo anche la capacità attrattiva e paradossalmente non aumentiamo il numero di turisti, ma li perdiamo. Dobbiamo governare questo processo molto importante, è una grande risorsa finanziaria. Nel 2022 siamo stati la sesta città d’Italia per movimento d’affari legato al turismo. È un volano indispensabile per la crescita economica della città».

Una delle conseguenze che avrà il nuovo piano del Comune partenopeo sta particolarmente a cuore al sindaco, e riguarda la tutela dei negozi di San Gregorio Armeno, strada famosa in tutto il mondo per i suoi presepi. «A San Gregorio Armeno si possono vendere solo pastori e presepi. Avremmo voluto farlo anche in altre zone, ma a San Sebastiano, purtroppo, chi vende gli strumenti musicali non c’è più, quindi non si possono mettere vincoli: non si può mettere un vincolo dove l’attività non c’è più. Idem per Port’Alba, dove non c’è più la quantità di librerie di una volta. Dobbiamo vincolare quello che c’è: per il momento abbiamo “salvato” i pastori».

«Non vogliamo fare commercio delle licenze ma tutelare la città. Se uno chiude, un altro può riaprire. Purché svolga analoga attività», ha aggiunto.

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