Ambiente

Trattori: detassiamo il passaggio dai fitofarmaci

Il malcontento degli agricoltori si concentra su Irpef, grande distribuzione organizzata che strozza i piccoli, terreni costretti a maggese. Ma se cominciassimo a sostenere la loro transizione detassando e promuovendo tutti i prodotti senza glifosato?

Fitofarmaci. È solo un piccolo capitolo della questione trattori. Ma è un capitolo importante, perché l’Italia potrebbe fare qualcosa di originale in questo campo, che l’Europa potrebbe copiare. E non costerebbe molto. Solo la volontà di farlo.

Rewind per chi si è perso i capitoli precedenti

Settimana scorsa sarebbe dovuta passare una norma del Green Deal a Bruxelles che dimezzava l’utilizzo dei fitofarmaci in agricoltura. E invece, la norma è stata prorogata di altri dieci anni. Perché? Chiaro, sono state le pressioni del movimento ormai europeo dei “trattori”, che hanno terrorizzato von der Leyen e parlamentari europei, obbligandoli di fatto a un grande passo indietro. Dopo aver votato lo scorso anno una legge più teorica che pratica per il ripristino della natura - che conta di riportare allo stato originario il 20% di terre e mari entro il 2030 (si ma come?) - di fatto ha “calato le braghe” sul tentativo di introdurre il tema salute, nei campi degli agricoltori.

Cosa sono i fitofarmaci

Per chi non sapesse cosa sono i fitofarmaci, non è una cosa che riguarda solo i trattori: riguarda tutti noi. I fitofarmaci sono quelle sostanze chimiche che vengono utilizzate da generazioni di agricoltori per rendere più semplice il lavoro nei campi. Sono antiparassitari, pesticidi o agrofarmaci usati per eliminare organismi nocivi per le piante (insetti, batteri, funghi ma anche roditori, talpe… ). Servono - anche - per evitare la fatica di sradicare manualmente le cosiddette erbe infestanti (le comuni erbacce che, chi non è del mestiere, toglie manualmente dai campi: ortiche, rovi, ma anche semplici piante “matte”).

Insomma, rendono tutto più “pulito” alla vista e più facile la raccolta. Rendono il settore più “industriale”, meno “artigianale”. E tuttavia, questo industrioso prodotto rende il panorama circostante inquinato. Tanto che chi pratica agricoltura biologica, i fitofarmaci sono la prima cosa che non utilizza. È per questo stesso motivo, tra gli altri, che ci dicono di lavare bene le mele, prima di mangiarle con la buccia. Non per la terra che potrebbe esserci sul prodotto. Ma per la chimica.

Perché il glifosato è pericoloso

Uno dei fitofarmaci più noti è il glifosato, di cui la rivista scientifica Lancet scrive così: ci sono “le prove che l’erbicida causi il cancro negli animali sono sufficienti”, e sono “forti quelle riguardanti la geno-tossicità” del prodotto.

Fondazione Veronesi lo considera “probabilmente cancerogeno”, e in Italia, la Lombardia è l’unica Regione che lo monitora nelle acque dei laghi e dei fiumi. E ne hanno trovato parecchio, in giro. Secondo il rapporto Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), “la presenza del glifosato e il suo metabolita è ampiamente confermata. In Lombardia sono presenti nel 31,8% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali, mentre il metabolita nel 56,6%”. Tanta roba, se pensiamo che non sappiamo niente delle altre Regioni.

Le nostre acque

Le acque italiane sono in pericolo tanto quanto quelle americane del film Dark Waters. La cosa, lo so, fa accapponare la pelle ma bisogna prenderne atto. Basti pensare a un evento per tutti: la decennale causa veneta che vede sul banco degli imputati Miteni, la joint venture tra Mitsubishi ed Eni che ha contaminato la falda acquifera più grande d’Europa, appena sotto Vicenza.

Oggi sta studiando il caso persino l’Università di Harvard perché il pfas (il materiale antiaderente con cui sono fatte le nostre amate pentole e i nostri impermeabili) è inquinante come la diossina e Greenpeace, che lo monitora sapientemente ogni anno, oggi ci racconta che la situazione non è allegra neppure altrove.

Per dirla semplice, in Veneto non solo le Mamme no pfas ma la maggior parte dei cittadini non beve più e non utilizza più l’acqua per cucinare. Così anche altre zone toccate da cause simili, in cui l’industria ha utilizzato i corsi d’acqua come privatissimo e gratuito sistema di smaltimento rifiuti tossici. È dimostrato, non è uno scoop. Ed è dimostrato che è accaduto ovunque.

Aiutare l’agricoltura per ritornare a bere

Non sono una scienziata per cui non so se avere più paura - per me e per i miei cari - dei fitofarmaci o degli pfas. Posso solo raccontare un’esperienza personale.

Il lago nel viterbese dove passo i fine settimana, il Lago di Vico, è situato in un parco naturale dove non è possibile neppure utilizzare le barche a motore. Si trova nel bel mezzo a una monocultura dei noccioleti dove, intorno a ciascun fusto non compare neppure un quadrifoglio. Va da sé, saggezza popolare, l’’acqua dell’acquedotto (questo lo sa anche Marco Mengoni che è originario di Ronciglione) la bevono in pochi. Chissà perché.

Supportare il passaggio a prodotti meno tossici

Monsanto fino al 2011 era l’unica detentrice del brevetto per il glifosato. Oggi che lo fan tutti, sono circa 750 i prodotti che contengono glifosato. È vero che non sono disponibili per tutti, e ci sono delle regole molto precise a riguardo, ma ci sarà un motivo se l’addetto alla “semina” dei fitofarmaci nei terreni si veste con uniformi che assomigliano più a una tuta spaziale che a una tuta da lavoro. Coperti dalla testa ai piedi e hanno una visiera come le donne con il burqa, giusto per vedere dove stanno spruzzando. Ci sarà un motivo se si infagottano così, come dovessero entrare in una centrale nucleare?

Ecco, cercando online ho capito che esiste invece una quantità di prodotti meno tossici (forse oggi più costosi) che potrebbero sopperire al passaggio dalla chimica industriale a una chimica più dolce. Sono chiamati agrofarmaci di origine microbica e spesso hanno il loro bel da fare per essere approvati. Per chi desideri approfondire, c’è un bel dossier di Legambiente.

I trattori italiani e i nuovi prodotti di biocontrollo

Questo è solo un piccolo capitolo della lotta dei trattori italiani che vedremo a Circo Massimo il prossimo giovedì. Agricoltori estenuati che cercano meno Irpef (reintrodotta, per loro, quest’anno un po’ in silenzio) e un aiuto concreto contro il climate change, che ha fatto schizzare alle stelle il prezzo di alcuni beni (vedi l’olio, per esempio) a causa della mancanza di pioggia.

Agricoltori impauriti dal tema del maggese, dal riposo obbligatorio del 4% dei terreni. Dalla nuova tassa sui diritti di superficie. Agricoltori strozzati dalla grande distribuzione organizzata, che non sanno da che parte voltarsi. Forse, per aiutarli davvero, e sostenere una sostenibilità sensata e ragionevole, potremmo intanto iniziare a acquistare più prodotti a chilometro zero (sì, costano!).

Dall’altra, il Governo potrebbe cambiare il passo sui fitofarmaci, detassando completamente chi utilizza prodotti di biocontrollo più salubri. Sostenendo economicamente chi fa una scelta precisa, col rischio magari di dover affrontare qualche erbaccia in più, nei terreni.

I trattori cercano Green Deal meno oneroso. Cominciare a premiare chi lascia la chimica non sarebbe sbagliato.

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