Diritti

Le catene che non avremmo mai voluto vedere

Portata in aula a Budapest con le manette a mani e piedi, l’italiana Ilaria Salis rischia fino a 24 anni di carcere. Il suo processo sta diventando un caso politico, diplomatico. E umanitario
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4 febbraio 2024 Aggiornato alle 06:30

Quelle Nike con le catene, che potrebbero essere quelle di mio figlio, di mia sorella. Le mie o le tue. Le immagini della 39enne Ilaria Salis ammanettata, incatenata mani e piedi in un tribunale di Budapest come una criminale di massima sicurezza, hanno parlato più dei tanti mesi di silenzio in cui è vissuta questa vicenda giudiziaria, hanno scatenato più reazioni delle tante richieste che la maestra monzese ha inutilmente rivolto per far rispettare i suoi diritti, e che si sono perse nei meandri delle regole carcerarie.

Se spostiamo gli occhi dalle sue scarpe di ragazza sfregiate dallo “schiavettone” col lucchetto, vediamo una donna che sembra più giovane della sua età, un abbozzo di sorriso rivolto ai parenti e a un’amica del liceo classico Zucchi che ha potuto rivedere dopo infiniti giorni di isolamento, una luce che si accende seppur in quel tribunale ungherese lei sia lì con un’accusa pesantissima di lesioni che potrebbero costarle da 2 a 24 anni di carcere.

Sarà difficile dimenticare Ilaria in catene «come un cane», come ha dichiarato il suo legale. Il nostro ordinamento vieta infatti di esibire i detenuti con le manette e in condizioni di umiliazione, se non in casi di gravissimo pericolo di fuga.

«Le sue compagne di cella la chiamano Giovanna D’arco», racconta ora Roberto Salis, il papà ingegnere che in questi giorni le sta facendo da megafono e si è esposto per accendere i riflettori sul trattamento ricevuto in carcere dalla figlia, per tentare di mettere in moto una macchina politica e diplomatica rimasta silente fino a oggi.

Ilaria è un’eroina tra le detenute perché dopo il clamore suscitato dal suo caso, ora le celle sono più pulite, i pasti migliori, le visite mediche possibili, e dopo mesi di inattività può partecipare a dei corsi di cucito.

In una lettera-memoriale di 18 pagine inviata lo scorso ottobre a un politico italo-ungherese e diffuse ora dal TgLa7, Ilaria denunciava di non aver ricevuto vestiti puliti per mesi, niente carta igienica o assorbenti, di essere stata punta dalle cimici del letto, di aver cambiato cella una decina di volte, di mangiare pasti pieni di sporcizia.

Una sola ora d’aria al giorno, per le restanti 23 ore sul letto a fare nulla. Due soli libri al mese. Accuse che l’amministrazione penitenziaria respinge però con sdegno al mittente.

La sua detenzione comincia 11 mesi fa, quando viene accusata di aver aggredito a Budapest due manifestanti di estrema destra tra il 9 e il 10 febbraio. Salis è nella capitale ungherese per contromanifestare al “Tag der Ehre”, la Giornata dell’Onore, una ricorrenza che attira estremisti ultranazionalisti da tutta Europa. Negli scontri 9 persone rimangono ferite, quattro gravemente.

La polizia la blocca in taxi, con un manganello retrattile nello zaino, insieme a un militante tedesco del gruppo Hammerbande, un collettivo internazionale di estrema sinistra che all’udienza dello scorso 29 gennaio si dichiara colpevole e viene condannato a 3 anni. Ilaria Salis si proclama innocente e sarà giudicata in un’altra udienza prevista il 24 maggio: le viene proposto un patteggiamento di 11 anni, che lei rifiuta.

La linea scelta dal governo italiano si muove tra diplomazia e diritto internazionale. Secondo il portavoce del primo ministro ungherese, Viktor Orban «i reati in questione sono gravi e le misure adeguate alla gravità dell’accusa del reato commesso». Per il padre Roberto Salis, «se Ilaria faceva parte di quel commando è giusto che sia punita. Ma io so che non era lì: per lesioni guaribili in pochi giorni rischia 24 anni», ha dichiarato al Corriere della Sera.

I giudici ungheresi hanno già respinto per 3 volte le richieste per il trasferimento in Italia, una possibilità potrebbero essere i domiciliari a Budapest, in attesa della sentenza di condanna o assoluzione.

Intanto, mentre il caso in Italia solleva le inevitabili bagarre politiche, vicino allambasciata ungherese di Roma è apparso un poster che ritrae Ilaria mentre vola in alto a braccia aperte verso il cielo, con le catene ai polsi finalmente spezzate. Sul vestito la scritta “Ila resisti”. È un’opera della street artist Laika, che ha commentato così: «le immagini che abbiamo visto dell’aula di tribunale sembrano arrivare da Teheran, non da un Paese dell’Unione Europea. Sono fiera di sostenere Ilaria. Questa onda nera che si abbatte sullEuropa va fermata. Ilaria va liberata. Subito».

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