Ambiente

Salgono i prezzi dell’uranio. Rallenta la corsa al nucleare?

Il metallo ha raggiunto i prezzi più alti negli ultimi 16 anni a causa di conflitti e situazione geopolitica. E con l’assenza di acido solforico la produzione è destinata a calare ulteriormente
Credit: Hendrik Schmidt/dpa 
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31 gennaio 2024 Aggiornato alle 20:00

Nel mondo che tenta di cavalcare una transizione energetica necessaria per affrontare la crisi del clima, oltre alle rinnovabili la grande arma a disposizione di una trentina di nazioni, è il nucleare.

Energia a basse emissioni, quella prodotta dall’atomo, che è però oggi davanti a un dilemma dettato dal mercato: il prezzo dell’uranio.

Questo metallo radioattivo secondo gli analisti ha raggiunto i massi prezzi degli ultimi 16 anni a causa di un contesto complesso, dettato dalle ripercussioni dei conflitti e di colpi di stato (in Niger), dalla richiesta di mercato e da un mondo che sta in parte rilanciando proprio la rinascita del nucleare.

Come però ha avvertito Kazatomprom, il più grande produttore di uranio al mondo - i prezzi sono destinati a nuove scosse a causa dei “ritardi nei processi estrattivi e della scarsa disponibilità di acido solforico”.

L’acido solforico è fondamentale nelle operazioni di estrazione e lavorazione e senza la macchina di produzione si ingolfa.

Inoltre, fa sapere l’azienda, già oggi stima che “difficilmente raggiungerà gli obiettivi di produzione 2025”.

Solo Kazatomprom rappresenta oltre un quinto della produzione mondiale e il Kazakistan produce il 43% della fornitura mondiale di uranio.

Oltre Kazatomprom anche la canadese Cameco ha recentemente segnalato un calo della produzione e la francese Orano, con la Francia che con oltre 50 centrali ha il più alto numero di impianti nucleari in Europa, ha chiuso le sue attività in Niger.

In poche parole: la domanda c’è e si espande, magari in futuro anche per Paesi che ragionano sul nucleare (come l’Italia), ma l’offerta è carente in un periodo in cui si stanno costruendo, dalla Cina agli Usa, un gran numero di reattori.

Attualmente sono circa 60 i reattori in costruzione in 17 Paesi e circa 110 sono stati annunciati.

Alla stessa Cop28, fra i vari proclami, è stata rilanciata una dichiarazione firmata da 22 Paesi proprio per triplicare la capacità di energia da nucleare entro il 2050.

Di conseguenza servirà sempre più uranio, elemento oggi scambiato a 106 dollari a libbra, prezzi da capogiro che, secondo Citibank, nel 2025 arriveranno di questo passo a una media di 110.

Inoltre, con gli Stati Uniti che stanno provando tramite legge a vietare le importazioni di uranio arricchito dalla Russia, come replica al conflitto in Ucraina, si potrebbe configurare un ulteriore problema nel reperimento di uranio, tenendo conto che la Russia è il sesto produttore e il primo per il processo dell’uranio arricchito.

In tutto questo, concludono gli analisti, la sensazione è che un po’ come per determinati progetti di offshore eolico, rimasti a corto di materie prime e manodopera, si vada in direzione di un rallentamento della corsa al nucleare, o perlomeno di un costo sempre più elevato: “Con le dinamiche a breve termine che rimangono favorevoli - dicono gli esperti - i prezzi sembrano sulla buona strada per superare i massimi storici di giugno 2007 di 136 dollari per libbra”.

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